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Il castigo di Attila, di Paolo Foschi

Creato il 27 agosto 2013 da Rivista Fralerighe @RivFralerighe

Edizioni e/o – collana: e/originals

Il castigo di Attila, di Paolo Foschi

S’incamminò verso via Condotti.
Si era innervosito.
Aveva voglia di fare due passi.
Si girò.
“No, non è possibile”.
Anche la scalinata di Trinità dei Monti
era stata pitturata dai tifosi della Roma.
Un gradino giallo, uno rosso,
uno giallo, uno rosso…

Roma è sul tetto del mondo: ventotto anni dopo la bruciante sconfitta di Liverpool, i giallorossi hanno trionfato in Champions League aggiudicandosi una finale al cardiopalma proprio contro il mitico squadrone inglese. La Nemesi del calcio – assunte, come spesso accade, le sembianze di un tiro dagli undici metri – ha restituito la beffa al mittente. I festeggiamenti, tuttavia, si tingono di un rosso che non ha nulla a che vedere con la passione sportiva: a pochi giorni dalla finale tre colpi di pistola feriscono gravemente Rocco Graziano, portiere della Roma ed eroe indiscusso del match (ha parato il rigore decisivo inventando un volo miracoloso fra i pali) mentre si trova nella sua villa faraonica alle porte della capitale. Gelosia? Calcioscommesse? L’ombra feroce della camorra?
L’indagine viene affidata al commissario Igor Attila, ex campione di pugilato giunto a un passo dagli allori olimpici in quel di Seul, e alla squadra di ex atleti “falliti” che è stato chiamato a dirigere in seguito al suo tutt’altro che volontario ritiro dalle competizioni: la scalcinata Sezione Crimini Sportivi della Questura di Roma. Destreggiandosi con abilità e un pizzico d’ironia tra veline in carriera, ultrà e politici in odore di corruzione, il commissario pugile porterà alla luce una verità dolorosa e a dir poco sorprendente.

Duro dal cuore tenero con un passato sportivo da dimenticare e un presente quanto mai incerto, Igor Attila si rivela, sin dalle prime battute, un personaggio interessante: torvo e malinconico quanto basta, ruvido e romantico senza mai cadere in facili stereotipi.

Ancora cento metri.
Posso farcela.
Non sento il dolore al ginocchio.
Non sento la fatica.
Non sento niente.
Voglio solo correre.

Resisti. Resisti. Resisti.

Corri. Corri. Corri.

E’ tutto qui, Igor Attila, in questo giro di pista macinato spremendo il cuore in vista dei Campionati master di atletica leggera. Corre lontano da se stesso e dai propri, il commissario, prova a capire se c’è ancora un’anima, dentro di lui, da sputare fuori. L’amore della velocità – che si esprime anche nelle frequenti e sconsiderate scorribande motociclistiche – e il culto della forma fisica raccontano il desiderio di portarsi al limite, di placare un ruggito che parte da dentro. Igor Attila è nella medaglia d’argento olimpica che tiene sempre in tasca e stringe con rabbia spasmodica nei momenti di difficoltà; è nei giri di chitarra che improvvisa in solitudine per esorcizzare le frustrazioni di un’indagine che scotta… un personaggio affascinante, insomma, al quale è davvero difficile non affezionarsi.

Così com’è difficile non apprezzare lo scalcinato microcosmo che gli ruota intorno, tratteggiato con pennellate leggere e al tempo stesso straordinariamente efficaci: i “cavalieri” della “Tavola Rotonda Ikea” – Lillo Santoni detto lo Stalliere, “ex fantino appassionato di corse truccate e scommesse clandestine”; Checco Rossi, “ex promessa del ciclismo finito dei guai per una vicenda di doping e per questo ribattezzato il Farmacista”; Luchino de’ Medicei, “ex tennista-playboy toscano di nobili origini, soprannominato il Conte”; Giovannelli-Lancillotto, “ex giocatore di basket, un ragazzone di colore chiamato affettuosamente Fiocco di neve”; Chiara Merlo-Ginevra, criminologa appena rientrata dagli U.S.A. con un diploma per il tracciamento dei profili psicologici e una buona dose d’ambizione – descrivono meglio di qualunque perifrasi la sostanziale acquiescenza dello Stato nei confronti degli scandali che infettano il mondo dello sport. “Non possiamo permetterci il lusso di rompere questo giocattolo, con i tempi che corrono”, dichiara un ministro della Repubblica all’inizio del romanzo. “Sa quanto incassa lo Stato ogni anno fra percentuali sulle scommesse, tasse sul reddito dei giocatori, imposte sui diritti tv e via dicendo? … Miliardi di euro”. Soldi, soldi e ancora soldi… perché il giocattolo risponde unicamente alla logica del denaro.

Giallo avvincente e godibile, “Il castigo di Attila” è la seconda indagine del commissario pugile. Paolo Foschi, che solo pochi mesi fa aveva esordito con Delitto alle Olimpiadi (Edizioni e/o), dà piena conferma del suo talento di narratore dipingendo in tono divertito e divertente (ma senza sconti o falsi pudori) le “brutture” che costellano il mondo del pallone, coniugando una prosa asciutta e moderna con l’utilizzo sapiente di tutti gli ingredienti del giallo tradizionale.
Il romanzo intrattiene e fa riflettere, insomma. Lasciando un po’ di amaro in bocca: accanto a una verità ufficiale data in pasto alle autorità competenti e ai mass media si profila un’altra verità: una verità più vera, se perdonate il bisticcio di parole, più complessa. A lettura conclusa è impossibile ricacciare indietro la sensazione che la giustizia degli uomini sia irrimediabilmente fallace, difettosa. E che gli eroi romantici – in carne e ossa o d’inchiostro, poco importa! – salveranno il mondo.

A cavallo di una imprendibile Hornet 600, ça va sans dire.

Simona Tassara

- da Fralerighe Crime n. 6



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