Il catino di zinco è la storia di una famiglia; più propriamente è la storia della signora Antenora, nonna dell’autrice Margaret Mazzantini e figura fondamentale nella sua vita.
E’ questo il primo romanzo della Mazzantini e racconta le vicende di una donna certamente di stampo e carattere non comune che attraversa una grande quantità di situazioni diverse nell’arco di una vita vissuta fra tragedie famigliari, carenze sanitarie, costumi ormai antiquati, povertà, miseria, fascismo, luoghi comuni e molto altro ancora.
Il catino di zinco, inteso come oggetto vero e proprio, rappresenta una sorta di macchina del tempo.
Sempre presente nella casa di famiglia, è un elemento che potrebbe tranquillamente assumere in questo romanzo il ruolo di narratore.
Il forte e roccioso carattere della signora viene qui presentato nella sua completezza, sia per quanto riguarda le caratteristiche presenti fin dalla nascita, sia per quegli aspetti formatisi in base alle esperienze vissute.
E’ un po’ anche un pretesto per raccontare un’Italia così particolare e così lontana dai tempi odierni.
Un’Italia migliore nella quale, secondo alcuni, si dava più importanza alle cose essenziali e meno all’apparire, ma allo stesso tempo, secondo altri, un’Italia peggiore che opprimeva chi non si adeguava chinando la testa e un’Italia dove ciò che poteva pensare “la gente” era tenuto in considerazione quasi più dei bisogni delle persone.
Un’Italia in sostanza dove la vita sembrava più semplice e migliore anche perché le magagne e le differenze venivano tenute nascoste.
Comunque la si voglia pensare, il romanzo della Mazzantini è un viaggio di questo tipo.
Interessante e coinvolgente, trova nella scrittura il suo punto negativo.
Ben inteso: trattasi di parere personalissimo e non di un giudizio che non mi ritengo in grado di dare.
E’ solo che il tipo di scrittura utilizzato dalla Mazzantini e il linguaggio da lei fatto parlare ai personaggi è fin troppo sofisticato, fin troppo per così dire elegante.
Questo libro potrebbe essere utilizzato come base di riferimento per la grande discussione che vede da un lato gli amanti dello stile anche a discapito della trama, e dall’altra gli appassionati di storie che magari non fanno neppure caso al tipo di linguaggio che incontrano a patto che sia abbastanza scorrevole.
Da un lato chi afferma che più o meno tutte le storie sono già state scritte e dunque la differenza tra un’opera e l’altra la fa la scrittura, dall’altro lato chi pensa che una storia abbastanza forte si sostiene da sola pure in presenza di una scrittura fiacca se non addirittura scorretta.
Probabilmente sono vere entrambe le cose e ciascun sostenitore potrebbe elencare diversi titoli a favore della propria tesi.
Semmai la vera discussione andrebbe fatta sui titoli cosiddetti normali che rientrano nella media sia delle storie che della scrittura…
Comunque la si pensi, la mia preferenza va ad una scrittura più lineare, più terra-terra, senza la ricerca di termini fin troppo sofisticati, se vogliamo una scrittura meno colta.
Ho avuto le stesse sensazioni che provo quando ordino del vino al ristorante: l’usanza dell’assaggio del vino mi sembra ogni volta fuori luogo, un’inutile cerimonia che lascia il tempo che trova e che dopo le spiegazioni degli esperti e degli appassionati mi porta a fare altre domande forse paradossali che però non trovano risposta: chiarite le motivazioni che portano all’assaggio del vino e alla sua accettazione, mi viene da dire che le stesse motivazioni possono in linea di principio essere applicate se non a tutti gli alimenti, almeno a quelli più importanti. Al lato pratico se arriva una bistecca immangiabile la si respinge, così come accade con il vino. E qui non voglio che venga abolito l’assaggio del vino, ma semplicemente mi chiedo se una cosa vale per il vino, perché deve valere solo per vino? Come mai il cameriere fa assaggiare il vino prima di servirlo a tutti e non fa la stessa cosa con un risotto o con un piatto di tagliatelle?
Ovviamente l’ho messa sulla battuta e sullo scherzo, però la scrittura della Mazzantini, così ricercata in alcuni termini e a momenti così talmente colta da essere quasi fuori posto, un qualcosa di quella sensazione di disagio che provo all’assaggio del vino me lo ha ricordato.
Detto questo leggetevi questo libro e dite la vostra, il mio parere l’ho appena espresso.
Tempo di lettura: 3h 19m