di Davide Piacenza
Il terzo atto della trilogia di Christopher Nolan basata sul personaggio di Bob Kane e Bill Finger – The Dark Knight Rises, nel suo titolo internazionale – è uscito in Italia il 29 agosto, oltre un mese dopo il lancio statunitense. La pellicola era attesa come il compimento dei temi sviluppati nei due capitoli precedenti – Batman Begins (2005) e The Dark Knight (2008). Nolan è effettivamente apprezzato e stimato negli ambienti di Hollywood proprio per le sue “ambizioni strutturali”, che gli permettono di costruire film dotati di una visione d’insieme efficace e precisa.
Ma “Il cavaliere oscuro – Il ritorno” è innanzitutto un film politico; Nolan, negandolo, finisce per affermarlo implicitamente, quando dichiara: “Non vedo questo film come un’opera politica, sono gli altri a farlo. Io e Jonathan (il fratello co-scenaggiatore, ndr) plasmiamo l’antagonista in base a come il mondo vede i cattivi di oggi. La nostra storia somiglia alla realtà”. Ma non c’è elemento più imprescindibile della politica nella realtà, e nelle quasi tre ore del film i rimandi più o meno direttamente politici sono incalcolabili. A livello mediatico su scala globale è sorta addirittura una disputa – che a noi italiani piacerà – circa l’orientamento della pellicola.
Così, spesso, i temi del riscatto umano della distopica Gotham, la magistrale interpretazione di Marion Cotillard e l’ennesima riconferma dello spessore drammatico di Michael Caine nelle ultime settimane sono passati in secondo piano rispetto alle visioni di cui il film sarebbe impregnato: domina – e in maniera palese – innanzitutto il mondo dell’alta finanza, rappresentato in maniera impietosa come l’ambiente che regola e perpetua la corruzione della città. Non a caso il piano di conquista dell’antagonista di turno, il ciclopico Bane, trova uno dei suoi punti clou nell’irruzione nella Borsa valori di Gotham – dove lo spettatore assiste a un altro eloquente riferimento: due analisti finanziari si chiedono il motivo di uno short-selling dei titoli di Wayne, e la risposta, placida, è “perché ho tirato la monetina”.
Marion Cotillard, bravissima nei panni di Miranda Tate.
Lo specchio dei tempi, però, non si ferma qui: in molti hanno visto nelle parole di Bane – “cattivo” rozzo ma dalla retorica efficace – un rimando alla “bugia tutta politica” di chi promette libertà e autodeterminazione a coloro che si prostrano a un regime autoritario. Il personaggio con la maschera non si presenta come un sanguinario invasore, infatti; anzi, presenta il fine della sua missione come “liberare Gotham” restituendo la città ai suoi abitanti. A questo proposito, tuttavia, alcuni progressisti americani hanno accusato Nolan di voler ridimensionare il movimento Occupy Wall Street, proponendo una pellicola il cui protagonista è un eroe reazionario. Il Guardian ha definito l’operato di Bruce Wayne come volto a salvaguardare il sistema finanziario dagli insorti, definendo il supereroe più vicino a Mitt Romney che ai manifestanti di Zuccotti Park.
In realtà, a ben vedere, le similitudini fra Bane e il suo gruppo ed Occupy finiscono poco più lontano di dove iniziano: una certa retorica (che sfocia nella sequenza dei tribunali popolari), un senso di rivalsa comune che trae le origini dagli oppressi. Ma ben poco altro. Per il resto il “villain” del film è – appunto – un dittatore in erba, le cui mosse riportano alla mente la mai sopita “war on terror”. I cittadini di Gotham City – durante la pellicola più volte definiti in termini negativi come corrotti, egoisti ed insensibili – sembrano trovare il loro riscatto nel finale, quando si uniscono idealmente nell’atto autodistruttivo di Batman.
Un film riuscito, senza dubbio.