Ho tradotto questo interessante articolo dell’amico Yassine Jamali (troverete un altro post su di lui e i suoi Sloughi, binomio perfetto) apparso sulle pagine del prestigioso quotidiano L’Economiste che parla del cavallo berbero. Un articolo specialistico e d’autore in quanto il Dott. Jamali alleva con successo cavalli arabo-berberi oltre agli Sloughi.
Standard e stud-book: Referenze e stato civile
Dopo aver conosciuto quasi l’estinzione, il cavallo berbero ha ripreso vita e dovrà trovare un immagine e uno sbocco. Creare o ricreare una razza consiste nell’elaborare il suo standard (descrizione delle sue caratteristiche morfologiche). Lo standard deve servire come referenza per decidere quali individui appartengono a questa razza e quali sono più conformi al modello ideale. Poi arriva lo stud-book: si tratta di una sorta di stato civile dove sono iscritti da un lato i cavalli scelti sulla base della loro apparenza, dall’altro i puledri nati da cavalli già iscritti. Uno standard non è però una verità imprescindibile. La sua elaborazione è il frutto di una riflessione collegiale che sfocia in un consenso, riflette delle opinioni dei coredattori e delle idee che si trasmettono su di una razza. Questo pone un quesito: da dove deriva il nome berbero? Il berbero è una razza di cavalli dell’Africa del nord; la descrizione della sua morfologia e delle sue qualità è rimasta praticamente invariata da oltre 2.000 anni e una delle più antiche menzioni risale al 168 A.C. e in questo scritto si ricorda la vittoria di alcuni cavalli del re numide Mastranabal. Un primo apporto di sangue berbero ai cavalli inglesi ha luogo verso il 70 D.C. quando l’imperatore romano Settimo Severo decise di importare degli stalloni berberi in Gran Bretagna. Un secolo dopo, Oppio descrive i cavalli di Mauritania (attuale Marocco e Algeria) come i più resistenti e i più forti di tutto l’impero romano. Più significativo ancora, M’rou’ou l’Qays, uno dei più celebri poeti ante-islam; in un suo scritto sfida un rivale in una corsa dove cavalca un cavallo berbero comparando il berbero al cavallo arabo della penisola arabica. Secoli dopo, gli arabo-andulusi Ibn el Awwam e Ibn Hodaï descrivono il cavallo ideale insistendo sulla finezza dei tessuti, la qualità delle membra, l’attaccatura del collo, l’attitudine alla velocità e alla resistenza. Solleysel e La Guérinière, grandi cavallerizzi della corte di Francia nel XV° e XVI° secolo compareranno il cavallo berbero al cavallo andaluso. Il berbero fu da loro descritto come più piccolo, più rapido e più resistente dell’andaluso; il suo temperamento più freddo e la sua immagine meno elegante. Prima di quell’epoca, il berbero e l’andaluso iniziarono a divergere; l’andaluso guadagnava in taglia e in potenza dopo l’apporto di sangue nordico e napoletano per soddisfare la moda del “pesante” arrivata dall’Italia. Questi incroci, e la fine dell’infusione di sangue berbero in seguito alla Reconquista portarono a quello che i due autori spagnoli Cabrera e Castejon chiamarono “il declino dell’andaluso”. Questa evoluzione verso un modello da parata ci ricorda quello del cavallo da Fantasia dei nostri giorni. Nel 1665, Luigi XIV° scelse ufficialmente il cavallo berbero come la sola razza di stalloni per la riproduzione dei cavalli da sella. Tuttavia, la fama del berbero non è strettamente legato alla sua discendenza andalusa nè alla sua produzione francese.
L’ancestro del purosangue inglese
È in Inghilterra, nel XVI° secolo, che il cavallo berbero conobbe il suo apogeo. Dopo l’Antichità, alcuni riproduttori dell’Africa del Nord, in diverse riprese, contribuirono a migliorare l’allevamento britannico. Verso il XII° secolo, le corse dei cavalli divennero uno sport estremamente popolare in Inghilterra che venne regolamentato nel 1603; da allora, i cavalli del Maghreb e del Machreq (attuale penisola arabica) furono ricercati per produrre dei cavalli da corsa. Diverse missioni furono inviate in Arabia, in Turchia e nel Maghreb per cercare di costituire due nuclei: i Royal Mares e i Berberi Mares. A Sidney, un autore inglese, dichiarò che il berbero aveva creato il purosangue inglese così come l’arabo. Il colonnello Eblé, del Cadre Noir, trovò dei berberi e degli arabi nel pedigree di Eclipse, leggendario purosangue inglese. Gli inglesi seguirono l’avviso del duca di Newcastlle che scrisse nel 1667: “inoltre vi consiglio il berbero che, a mio avviso, è il migliore per fare dei cavalli da corsa e da velocità”. Tutte queste descrizioni e citazioni del cavallo berbero, disegnavano in maniera unanime lo stesso modello: piuttosto piccolo, fine, rapido, resistente, membra secche, temperamento piuttosto freddo: un corridore di mezzo fondo. Poi arrivarono i secoli XVIII° e XIX° e con loro la selezione metodica delle specie domestiche in Europa e la stagnazione e/o il declino della rive sud del Mediterraneo e dei suoi cavalli; non si parlerà più del cavallo berbero se non per la sua rusticità. La guerra di Crimea e poi la Prima Guerra Mondiale (battaglia di Uskub) riporteranno brevemente agli onori i berberi nel microcosmo dei cavalieri militari. Nel XX° secolo, la modernità rivolterà le società maghrebine e il ruolo del cavallo ne risentirà: da cavalcature utilitarie per la guerra, la razzia, il viaggio, diventeranno nella migliore delle ipotesi una cavalcatura di prestigio, al peggio un cavallo da carretto.
Verso un modello da parata
Per una montatura da parata, la funzionalità è secondaria; il cavaliere non ha più bisogno di un atleta ma vuole semplicemente mostrare la sua ricchezza. Per questo motivo deve possedere un cavallo grande, quasi obeso. Le foto datanti la fine del XIX° secolo e l’inizio del XX°mostrano un cavallo totalmente diverso dal cavallo di Fantasia d’oggi. Si passo’ da un altezza di 1,50 mt al garrese a 1,60 o 1,70 mt, il peso di conseguenza aumento’ a causa di membra appesantite. Si passò da un maratoneta ad un lottatore di sumo in una cinquantina di anni. Con quali mezzi? L’alimentazione? Sicuramente ha giocato un ruolo importante. La disponibilità alimentare non ha mai cessato di migliorare permettendo un vero surplus al cavallo da Fantasia e dal regime orzo-paglia-fieno si sono aggiunti la polpa di barbabietola, il grano, la soia. La selezione dei riproduttori ha ugualmente giocato un ruolo. Ma la selezione e l’alimentazione non possono essere le sole a spiegare un tale cambiamento. Un altro fattore è interventuo: l’incrocio con delle razze straniere, quindi razze da traino. Questo spiega quello che si incontra oggi sui cavalli da Fantasia che presentano membra e incollature tipiche del Percheron. Gli stalloni da traino bretoni sono stati largamente utilizzati; altri cavalli, spagnoli, portoghesi, frisoni, hanno partecipato a questa diversità.Il cavallo da Fantasia, una nuova razza
Questi incroci non sono discutibili. Numerose razze sono nate da tali melting-pots, anarchici in principio, poi armonizzati e codificati. Il cavallo da Fantasia corrisponde ad un bisogno, ad un mercato, che lo hanno creato empiricamente e una nuova razza equina sta nascendo. La domanda che ci si pone è quella relativa alla sua identità. Il cavallo da Fantasia non era un berbero, che nome dunque donare a questo colosso? Regolarmente, durante le procedure di iscrizione al titolo iniziale, si produce un dilemma: qualche descrizione presentata è inclassificabile. La commissione puo’ allora attribuire sia un documento di berbero sia quello di arabo-berbero (e procedere ad una iscrizione a titolo iniziale nello stud-book) oppure un documento di RNC ovvero Razza Non Conosciuta. Ovvio che il documento di RNC è mal accettato dal proprietario che desidera uno status corrispondente al valore di mercato del cavallo allevato e al suo prestigio tra gli addetti ai lavori della Fantasia.
L’alternativa è quindi semplice :
A) iscrivere un cavallo come berbero quando non lo è
B) ghettizzare un magnifico cavallo da Fantasia nel ghetto dei RNC, cosa inaccettabile per i suoi proprietari
C) è possibile creare una terza via per uscire dall’impasse, quella di elaborare un nuovo standard e l’apertura di uno stud-book per accettare un fatto compiuto: la creazione di una nuova razza che si chiamerà cavallo da Fantasia ( o di Thourida) marocchino o un altra denominazione da determinare. In questo modo il cavallo da Fantasia potrà continuare ad espandersi conformemente ai gusti in vigore di questa disciplina e il “vero” berbero potrà ritornare al suo piccolo formato autentico e alla sua vocazione di sempre: la resistenza.
Avvenire del berbero
I risultati onorabili del berbero nelle corse di endurance confermano la sua reputazione. C’è una opportunità per migliaia di cavalli berberi o arabi-berberi, che si trovano oggi non sul terreno delle Fantasie ma tra le merci dei carretti urbani e rurali. E’ a partire da questi cavalli, chiamati in modo peggiorativo keïdars che si potrà ricreare la razza berbera attorno alla sua prima vocazione: la corsa di resistenza o endurance. La funzione crea l’organo. E crea anche le razze. Il berbero è stato creato per la caccia, la corsa e la guerra di movimento. Sta sparendo in seguito all’annullamento delle sue funzioni e, destino beffardo, un altra razza equina sta comparendo, creata esclusivamente per la Fantasia. Questa razza ha un lontano rapporto con il berbero e per il loro bene queste due razze devono essere nettamente distinte e separate, su basi scientifiche e storiche perchè ognuna possa svilupparsi nel proprio spazio, seguendo la sua propria vocazione.
Il Sahel, un altro vivaio della razza
Il berbero e i suoi prossimi discendenti non si trovano esclusivamente nel gruppo delle razze nord-africane o, sotto forma ingrandita, sulle rive nord del Mediterraneo. In effetti, se gli scambi e i conflitti trans-mediterranei hanno largamente contribuito all’irradiamento del berbero, non bisogna dimenticare gli scambi trans-sahariani, non meno importanti. Stabiliscono di fatto l’ancoramento africano del berbero e spiegano la loro presenza in Mali, in Mauritania, nel Niger, tra le popolazione equine inventariate dai veterinari dell’ex Sudan francese sotto il nome di berbero del Sahel e berbero Dongolaws. Le condizioni assai estreme della rive sud del Sahara hanno conservato nel berbero saheliano il suo piccolo formato e le sue qualità mantenendolo puro da tutti gli incroci con le razze europee che nel XX° secolo si diffusero nel Maghreb. Questa evidenza, meriterebbe uno studio sui marcatori genetici del cavallo berbero iniziato in Marocco, tenendo in considerazione anche qualche migliaio di soggetti conservati presso le tribù soninke, mauri, haoussa, toubous; queste popolazioni rappresentano una riserva di geni per la rigenerazione del cavallo berbero e l’importazione di qualche riproduttore dal Sahel, rispettando tutte le norme sanitarie in vigore, equivarrebbe ad un viaggio verso il XVIII° secolo, alle radici del cavallo berbero.
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