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Dopo dieci anni di una guerra
che non finiva mai, una bella mattina
i Troiani,
che stavano sempre con la testa penzoloni
dalle mura,
vedono che le barche greche
hanno le vele gonfie per tornare a casa
e sulla spiaggia è rimasto un cavallone di legno
grande come un palazzo, con delle placche d'oro
sulla schiena che parevano fatte di lucciole.
"Portiamolo dentro che è un regalo che ci hanno lasciato!"
Dicevano quasi tutti senza sapere che nella pancia
del cavallo c'erano Ulisse con dei soldati che stavano zitti
come le montagne sotto la neve.
I più fanatici aprono il portone
che era inchiodato dalla ruggine
e i giovani e anche i vecchi si avvicinano
a questo colosso che aveva le gambe
come le colonne di San Pietro e la pancia
una nuvola che copriva il sole.
Tira tu che tiro anch'io con delle corde
lunghe e delle leve per smuovere le ruote di legno
che affondavano nella sabbia, l'animale
è arrivato sotto le mura
e le donne battevano le mani e facevano festa
per farlo entrare dentro la città.
I bambini correvano davanti e dietro
e urlavano forte: "Io gli ho toccato la coda!"
"E io la pancia!": Il cavallone aveva la testa
che oscillava davanti alle finestre alte,
come dondolano i bambocci del carnevale,
e le ragazze si tiravano indietro perché faceva impressione
però ridevano e subito allungavano le braccia
per fargli una carezza. Dal portone in basso,
che avevano levato dai gangheri, su su fino alla chiesa,
hanno impiegato quattro ore e un quarto
anche perché c'era tanta gente allegra
tra i piedi e le ruote si incastravano tra i sassi.
La festa vera e propria è cominciata
alle nove di sera e c'erano pifferi e tamburi
che facevano muovere braccia e piedi anche alle vecchie.
Bevi e bevi attorno al regalo che gli avevano
lasciato i greci, gli uomini barcollavano
e le donne tiravano su le sottane e mostravano
tutto. Ci sono state perfino delle ammucchiate
dove, magari, la moglie di uno si è trovata
tra le mani l'affare di un altro.
Il sonno è arrivato di colpo e la gente stava
stravaccata sul pavimento con le gambe e le braccia
aggrovigliate. Subito hanno fatto un sogno tutti insieme:
pareva che dalla pancia del cavallo
venissero fuori dei soldati con delle spade lunghe
che s'infilavano nella carne e facevano un male boia;
ma non era mica un sogno!, era vero
che dalla pancia del cavallo uscivano dei soldati
con delle facce più cattive del veleno
e le punte dei ferri rompevano le ossa
e la bocca che voleva urlare
non poteva fare neanche un lamento;
dai buchi della carne il sangue
faceva una fioritura di tulipani rossi
in mezzo a facce bianche che erano schegge di luna.
Anche fuori dalla chiesa era pieno di morti
e c'era un silenzio che si tagliava col coltello.
Andromaca, la moglie di Ettore,
che non si era mescolata con gli altri a fare festa,
accompagnata da un soldato che la portava in Grecia,
camminava a testa alta,
vestita con una camiciola spiegazzata e le tette
dondolavano quasi fuori proprio dove
si appoggiava suo figlio che stava in braccio
con degli occhi come quelli di una civetta.
Quando il sole si è fatto vedere
su quei morti e su quelle case bruciate,
sono arrivati tre-quattro uccelli
che sono scappati dalla paura.
I soldati greci che avevano fatto quel macello,
erano stanchissimi e si sono addormentati
con le mani insanguinate appoggiate su quella carne
senza vita.
Ulisse piangeva per tutta quella gioventù
che era morta, poi, uno alla volta
ha svegliato i compagni e hanno tirato dentro
la chiesa tutti quei disgraziati per non farli stare
sotto l'acqua e al sole. I bambini li ha fatti sistemare
dove dalle fessure alte
arrivava un fascio di polvere luminosa fino al pavimento.
Subito dopo hanno lasciato la città
che ancora bruciava e si sono avviati
verso le barche che aspettavano
col muso dentro la sabbia.
E' passata quell'estate e un sacco di anni
con delle giornate di vento che sbatteva le porte
e gli stracci e poi la pioggia, le burrasche
e sciabolate di sole che facevano crepare la terra;
l'aria era piena di calabroni, vespe e cavallette
che parevano fossero fili d'erba in volo.
I muri delle case erano diventati di pasta frolla
e la fortezza, una montagna di sassi e cenere.
L'erba piano piano ha sepolto tutto
e non ti veniva neanche da pensare
che degli uomini e delle donne
proprio lì, appena un anno prima, ridevano assieme
nel guardare un albero fiorito.
Tonino Guerra, Il cavallo di Ulisse, Mobydick 1996
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