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Michele Placido è il primo a prendere le distanze da “Il Cecchino”, la sua prima pellicola da cineasta realizzata in Francia tramite una co-produzione italo-francese, sbocciata per merito dei successi ottenuti dai suoi precedenti titoli a livello internazionale. E’ stato un film eseguito su commissione, lo dice senza problemi, dove lui non è intervenuto minimamente né sulla sceneggiatura né su altro, si è limitato solo a fare ciò per cui era stato chiamato, adempiendo al suo incarico stimolato dalla novità dell'avventura.
Non a caso, se non ci fosse il suo nome tra i titoli di testa e di coda a suggerirne l’operato, faremmo seria fatica a identificare “Il Cecchino” come un film di Michele Placido, lui che con le opere di genere, vedi “Romanzo Criminale” e “Vallanzasca”, aveva dimostrato di saperci fare benissimo, padroneggiando la macchina da presa e in particolar modo la gestione degli attori. Cose che purtroppo non gli riescono in questa parentesi: colpa principalmente di una sceneggiatura scarna e una storia, che a parte la poca chiarezza e qualche sparatoria, ha ben poco da dire e da fare apprezzare.
Provvisto di un ingombrante sapore televisivo, percettibile con insistenza nel corso della visione, “Il Cecchino” non vuole neppure provarci ad innalzare un racconto fondamentalmente povero e approssimativo infatti si lascia andare formalmente ad una pessima e fuorviante scansione narrativa mista a inquadrature spesso troppo strette o non ragionate. Qualsiasi cosa funziona poco o male, insomma, sono solo gli attori probabilmente a rappresentare il tassello meno malandato dell'insieme: il personaggio principale dell’ottimo Daniel Auteuil lascia il segno ma deve scontare un vuoto nella parte centrale dove viene un po’ dimenticato per fare emergere meglio gli altri co-protagonisti, che però appesantiscono lo svolgimento e, a parte magari un bravo Mathieu Kassovitz, non sanno raggiungere le sue vette.
Un esordio europeo assolutamente da rivedere quello di Placido, che seppur limitato dalla libertà autoriale (non è stato specificato se obbligata o voluta) non può certo scagionarsi dall'aver realizzato un lavoro privo d’identità e di percorso. Gli innesti italiani di Violante Placido e Luca Argentero servono solamente a donare al prodotto transalpino quel tocco di italianità in più, accentuato con maggior risultato dal cameo ritagliatosi da Placido nel finale.
Resta comunque tutto troppo sconclusionato per raggiungere la sufficienza.
Trailer:
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