Il centesimo compleanno di Pietro Ingrao

Creato il 31 marzo 2015 da Tafanus


Pietro Ingrao

Ieri, mentre i "comunisti" di oggi erano intenti a raddrizzare le gambe ai cani nella direzione della defunta sinistra italiana, Pietro Ingrao (uno degli ultimi motivi viventi che mi hanno fatto votare per mezzo secolo per il PCI-PDS-DS-PD), compiva 100 anni. Un secolo di storia italiana.

Avevo preparato un pezzo che doveva uscire stamattina per fare gli auguri miei - e spero nostri - al grande, giovane vecchio della politica italiana, ma la piattaforma del blog ha pensato bene di ingoiare il tutto, e di farlo finire chissà dove...

Rimedio pubblicando il bell'articolo di qualche giorno fa di Alessandra Longo

Un ricordo affettuoso, pieno di nostalgia e di stima, per uno degli ultimi uomini grazie ai quali da oltre mezzo secolo ho avuto dei punti di riferimento.

Pietro Ingrao aveva la vista lunga. Aveva lasciato il PCI quando, con Occhetto e la Bolognina, era diventato PDS. Io ho la vista molto più corta, ed ho avuto bisogno di una catastrofe politica come il renzismo per abbandonare quella che è stata per decenni la mia casa. Ora mi sento come uno sfollato. Non hò dove andare, non so dove cercare. E forse non hò più neanche tanta voglia di farlo, visto che di filo da tessere ne ho, del tutto naturalmente, sempre meno...

Auguri, Pietro...


Pietro Ingrao con Nilde Jotti

Pietro Ingrao ha compiuto 100 anni ieri: 30 marzo 1915, 30 marzo 2015. Un percorso straordinario concesso a pochi. Ora l'esistenza è lenta, dolcemente blindata dalla sua bella famiglia che, prima ancora di amarlo, lo rispetta. E' l'altra dimensione della vecchiaia, lontana dalla quotidianità, scandita dal riposo, dalla fisicità dei rapporti con figli e nipoti. La politica, rumore di fondo. La tutela della sua privacy diventa gesto d'amore. I suoi 100 anni sono densi, contengono la storia di questo Paese, dal fascismo alla Resistenza, da Budapest a Praga, e poi l'assassinio di Moro, la fine del compromesso storico, la sconfitta del comunismo, l'eclissi del Pci. Oggi un mondo diverso, che a casa gli descrivono, non ultima l'elezione di Mattarella di cui gli è stata data notizia.
Pietro Ingrao, grande padre della sinistra, ha attraversato il '900, con il suo carattere sanguigno, con la sua voce forte da leader, con la sensazione amara del fallimento di un progetto e la consapevolezza cruda degli errori, da quell'editoriale filosovietico sui fatti d'Ungheria all'espulsione, in ossequio all'ortodossia di partito, dei suoi amici più cari, gli ingraiani del manifesto. In "Volevo la luna", la sua autobiografia, scrive: "Noi siamo stati sconfitti, ma abbiamo vissuto un'esperienza straordinaria. Oggi, a volte, l'orizzonte della politica mi sembra diventato più piccolo e angusto".


Pietro Ingrao con Enrico Berlibguer

L'ultima vecchiaia è quella più raccolta, quasi sublimata, tra poesia e musica, e pochi amici ammessi. Nella sua casa di Roma, vicino alla sua poltrona e alla libreria, c'è ancora il pupazzo con le sembianze di Charlie Chaplin, venerato autore di "Tempi Moderni" e "Luci della città", quest'ultimo il film preferito da Ingrao per quel finale straordinario: la ragazza cieca, ritornata guarita dall'America, reincontra il vagabondo. Lei lo riconosce, non con gli occhi, perché non l'ha mai visto prima, ma sfiorando leggermente la sua giacca. Niente parole, nel silenzio, dice Ingrao, "passano tante domande sulla vita". La bellezza e la profondità del silenzio: "Mi è sempre piaciuto sedermi in un caffè a guardare il fiume di persone che scorre nella strada, chiedendomi chi sono, cercando di immaginare ciò che loro capita o che hanno in animo". L'uomo della passione, della curiosità, del dubbio, dei cieli stellati contemplati da solo d'estate a Lenola, il suo paese natale, ma anche l'affabulatore in piazza, il combattente, il Capo carismatico, il sostenitore più convinto e ostinato del superamento del capitalismo in favore di un nuovo modello sociale e politico. Fausto Bertinotti, uno dei più costanti frequentatori di casa Ingrao, assieme a Luciana Castellina, lo definisce felicemente così: "E' stato un eretico senza scisma": "L'eresia, per Pietro, doveva fertilizzare il campo di appartenenza, e anche il conflitto veniva messo a disposizione di questo obiettivo ".
Arrivare a 100 anni con il rispetto di tutti, amici e avversari. E' il pregio della sua diversità. "Il mito di Pietro  -  dice Bertinotti  -  vive in primo luogo nella famiglia". Il comunista ruvido e raffinato, figlio di proprietari terrieri del Basso Lazio, si innamora di Laura Lombardo Radice, compagna nella lotta antifascista, madre dei suoi cinque figli Celeste, Bruna, Chiara, Renata e Guido. Laura se ne è andata, nel 2003: "Provai un dolore assai aspro quando quella sua luminosità umana mi abbandonò". Ma la grande famiglia eccola, c'è ancora, circonda il centenario di ogni attenzione, evita di esibirne il pur orgoglioso declino, e ora partecipa pienamente ai festeggiamenti promossi dal Centro per la Riforma dello Stato, con la cura di Maria Luisa Boccia. Martedì 31, la celebrazione ufficiale, alla presenza del presidente della Repubblica. Omaggio al politico, primo comunista a salire sullo scranno di Montecitorio. La presidente Laura Boldrini aprirà la Sala della Regina per un convegno dal titolo molto ingraiano: "Perché la politica". Con i contributi di Alfredo Reichlin, Gustavo Zagrebelsky e Rossana Rossanda. E poi, il 16 aprile, focus sull'Ingrao presidente della Camera nel ricordo di Giorgio Napolitano, Pier Ferdinando Casini, Eugenio Scalfari.
Ingrao non ci sarà. Ma la cornice è gioiosa con appendici di eventi anche nelle sue terre, da lui mai tradite. La fisicità dei rapporti con la terra e le persone è un'altra chiave per capire l'uomo. Walter Veltroni lo ha intervistato per il suo film su Berlinguer, una delle ultime conversazioni pubbliche, alla fine del 2013. "Nelle sue risposte c'erano continui riferimenti agli spazi: case, città, quartieri, quasi più ricordi dei luoghi che delle persone". Il solitario che si mescola alla massa, curioso della vita. "Durante l'intervista  -  dice Veltroni  -  alle mie domande lui mi rispondeva con altre domande. Voleva sapere della mia vita, della famiglia, del lavoro. Il suo istinto naturale: interrogarsi, coltivare la bellezza del dubbio, la ricerca del senso come un viaggio". "C'erano grandi silenzi in cui improvvisamente Ingrao era lontano. Io attendevo, rispettando quei momenti ".
Ingrao ha sempre riconosciuto la fatica del parlare, in una vita costretta alla comunicazione. Solo lui poteva cercare nel comizio la magia del silenzio: "Tu sali sul palco, hai dinnanzi, come ce le ho avute, piazze piene di gente. È un po' una sceneggiata, un atto teatrale: i saluti, la presentazione, gli evviva, le bandiere. Tutto questo, però, è come l'involucro. Poi comincia una cosa molto più difficile e profonda: tu che stai là sopra riuscirai a comunicare veramente? Lo scopri solo se c'è un momento, del comizio, del tuo discorso, in cui senti che ti puoi fermare, senza nemmeno finire la frase. Ti fermi e ti accorgi che la piazza non si muove perché aspetta il seguito della tua frase. Se in quel momento ti accorgi che ti puoi fermare, bere un bicchiere d'acqua, soffiarti il naso o non fare nulla, e la piazza sta ferma a sentire, allora vuol dire che si è creato un filo, una comunicazione, un legame, tanto forte quanto impalpabile, tra te e le persone".

Quel filo lungo, forte e resistente come il timbro della sua voce, non si è mai spezzato. Auguri per i 100 anni, Pietro Ingrao.

Alessandra Longo

0302/0630/1200 edit


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