Il dott. Paolo Di Lazzaro, fisico e dirigente di ricerca presso il Centro Ricerche Enea di Frascati, ha onorato questo sito web presentando più sinteticamente una versione molto simile di quello che è ora disponibile sul sito web di ENEA. I risultati hanno dimostrato la possibilità di colorare tessuti di lino in modo simil-sindonico tramite la luce UV e VUV di un laser eccimero impulsato della durata di alcuni miliardesimi di secondo. Un brevissimo e intenso lampo di radiazione VUV direzionale può colorare un tessuto di lino in modo da riprodurre molte delle peculiari caratteristiche della immagine corporea della Sindone di Torino, incluse la tonalità del colore, la colorazione superficiale delle fibrille più esterne della trama del lino, e l’assenza di fluorescenza. Tuttavia, l’immagine sindonica presenta alcune caratteristiche ancora impossibili da riprodurre, per esempio le striature e la sfumatura dell’immagine dovuta ad una diversa concentrazione di fibrille colorate gialle alternate a fibrille non colorate. Come spiegava il fisico Di Lazzaro, è forse possibile la loro replica usando una batteria di diecimila laser eccimeri, ma evidentemente questo -sempre che sia possibile- non ci porterebbe molto lontano. La questione non è la possibilità teorica di riprodurre l’immagine con macchinari ad alta tecnologia, ma spiegare come abbia potuto formarsi prima del 1353, data universalmente accettata dagli storici come prima documentazione certa dell’esistenza della Sindone (ricordiamo che la fotografia venne inventata dopo il 1700).
Viene dunque smentita di fatto l’ipotesi del falsario medievale, indipendentemente dai controversi risultati dell’esame al C14, sui quali aleggia un’ombra di assai poca scientificità e molta “forzatura” dei risultati. Un documentario inedito a breve uscita si concentrerà proprio su questa faccenda. Si legge nel rapporto ENEA: «ad oggi la Scienza non è ancora in grado di spiegare come si sia formata l’immagine», questo perché l’immagine non si è formata dal contatto del lino con il corpo, c’è solo un’estrema superficialità della colorazione e non c’è presenza di pigmenti. Sotto le macchie di sangue non c’è immagine e quindi esse si sono depositate prima dell’immagine, formatasi in un momento successivo alla deposizione del cadavere. Inoltre, tutte le macchie di sangue hanno contorni ben definiti, senza sbavature, quindi si può ipotizzare che il cadavere non fu asportato dal lenzuolo. E ancora: «Mancano segni di putrefazione in corrispondenza degli orifizi, che si manifestano dopo circa 40 ore dalla morte. Di conseguenza, l’immagine non dipende dai gas di putrefazione e il cadavere non rimase nel lenzuolo per più due giorni». Tutto questo «rende estremamente improbabile ottenere una immagine simil-sindonica tramite metodi chimici a contatto, sia in un moderno laboratorio, sia a maggior ragione da parte di un ipotetico falsario medioevale».
Il cuore della questione è tutta qui, «indipendentemente dall’età del lenzuolo sindonico, che sia medioevale (1260 – 1390) come risulta dalla controversa datazione al radiocarbonio o più antico come risulta da altre indagini, e indipendentemente dalla reale portata dei controversi documenti storici sull’esistenza della Sindone negli anni precedenti il 1260, la domanda più importante, la “domanda delle domande” rimane la stessa: come è stata generata l’immagine corporea sulla Sindone?». Non siamo alla conclusione, dicono gli scienziati, «stiamo componendo i tasselli di un puzzle scientifico affascinante e complesso. L’enigma dell’origine dell’immagine della Sindone di Torino rimane ancora “una provocazione all’intelligenza”», citando le parole di Giovanni Paolo II pronunciate il 24/6/98.