L’urban fantasy è quel filone del fantasy in cui fatti paranormali, avvenimenti strani e creature fantastiche non sono parte di un universo separato dal nostro e completamente diverso, ma succedono in un mondo molto simile a quello reale, anzi praticamente identico; un filone intrigante, ma che non porta sempre a risultati interessanti, così come il sotto-tema della magia e della stregoneria presso i più giovani, spesso vista come modo per superare disagi sociali, sentimentali ed esistenziali.
Il cerchio (traduzione di A. Storti, Salani editore), primo di una trilogia svedese scritta a quattro mani da Sara Elfgren e Mats Strandberg, appartiene a questo filone e sotto-tema e presenta una storia che sembra a prima vista già molto sentita, se non altro sotto diverse latitudini, quella di un gruppo di ragazze delle superiori che scoprono di avere poteri magici e di dover affrontare le forze del male.
Ci sono, però, alcune importanti novità: i toni non sono fiabeschi, adolescenziali, romantici con tanto di grandi amori con creature di altri mondi, e nemmeno così scontati, malgrado le premesse già lette e viste. Il tutto è molto realistico, poco idealistico, poco eroico, molto disincantato, e anche le protagoniste, malgrado rispondano a certi stereotipi (la ragazza bella odiata dalle coetanee, la dark, il topo di biblioteca), sono molto lontane da certe eroine fantasy, e viene da dire per fortuna. Nelle pagine del libro si parla, certo, di magia e paranormale, ma anche di famiglie sfasciate, di omosessualità, bullismo, droga, problemi alimentari, tematiche non certo così scontate nel genere, soprattutto se trattate con un realismo a dir poco clinico e disturbante come avviene nelle pagine de Il cerchio, in un contesto in cui non ci si aspetterebbe tutto questo e in tale grande quantità.
L’altro elemento di interesse del libro è l’ambientazione svedese, in un universo freddo di provincia, per niente rassicurante, che contribuisce ad accrescere il senso d’inquietudine già trasmesso dalla vicenda, rinnovando, così, un genere, che, riletto nel Nord Europa, ci viene restituito in maniera scioccante, come era successo con i thriller scandinavi, da Stieg Larsson in poi, con le storie gotiche e di vampiri di John Ajvide Lindqvist, persino con i romance d’amore reinventati da Simona Ahrnstedt, con il suo Ritratto di donna in cremisi.
L’urban fantasy in salsa svedese è quindi spietato, senza eroi e eroine, con una realtà soffocante che sovrasta l’aspetto fantastico, come una denuncia di un modello di società spesso additato come ottimale ma che non ha cancellato ingiustizie sociali, nevrosi, violenze, drammi individuali, come già emergeva dai romanzi degli altri autori, che usano la finzione per raccontare i lati peggiori della loro realtà.
Detto questo, Il cerchio spesso non sa decidersi tra realtà e fantasia, tra denuncia sociale e racconto di un’iniziazione magica, e si perde, tra punti di vista di personaggi diversi ed eventi vari che aggiungono, lasciando poi un finale aperto, visto che ci saranno dei seguiti, si spera meno frammentati nella narrazione.
Il cerchio resta, però, un’interessante sperimentazione su un genere inflazionato ma che piace sempre e nel quale non è facile trovare proposte innovative, oltre che un’analisi sociale per non dimenticare che evadere con la fantasia non vuol dire dimenticare la realtà. E del resto il fantasy non è certo estraneo al mondo scandinavo, visto che è dalle loro leggende che è nato molto immaginario che l’alimenta, a cominciare dall’universo di Tolkien.
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