L’articolo 26/1/2015 di Roberto Meregalli *
Produzione e distribuzione del cibo nel mondo non dipendono più dalle capacità tecniche ma dalla cultura sociale
Lester Brown, fondatore del Worldwatch Institut, sostiene da tempo che il cibo sarà il petrolio del futuro e che la terra sarà preziosa come l’oro perché cresce la domanda di alimenti ma non, con altrettanta velocità, la produzione. Cresce il numero di abitanti, cresce il numero di persone che si ciba di carne; quindi sempre più grano e soia vanno a sfamare animali piuttosto che esseri umani, e sempre più terra serve a produrre energia. Un terzo del grano statunitense finisce nei serbatoi delle automobili sottoforma di etanolo.
Il recente libro “Cibo non cibo” parla di agricoltura, l’attività che ha fatto smettere gli uomini di essere nomadi. Oggi, nelle società occidentali, sono sempre meno coloro che coltivano, ma abbiamo cibo in abbondanza, anche se non sappiamo ancora distribuirlo. Quasi uno su sette nel mondo va a dormire con la pancia inquieta. Un numero doppio di persone invece dorme male per il motivo opposto!
Viviamo in un’epoca strana in cui il numero delle persone sovrappeso supera e di molto quello dei denutriti e si muore di più per l’eccesso di cibo che per la sua mancanza. È questa una delle principali contraddizioni del nostro modello di sviluppo che ha fatto dichiarare alla FAO come la sicurezza alimentare sia diventata un problema globale.
La globalizzazione, il progetto sostenuto dalle multinazionali per ridurre la regolamentazione degli stati, facilitando gli scambi e le “filiere lunghe”, ha impatti rilevanti sull’alimentazione. Nel libro si evidenzia come l’aumento dell’obesità e dei consumi di bibite gasate in Messico sia da correlare all’accordo di libero scambio NAFTA (North American Free Trade Agreement) firmato nel 1994 con gli Stati Uniti: dal 1996 al 2012 l’export americano verso il Messico di glucosio raffinato a partire dal mais, aumentò del 1.200%.
La ricerca disegna, con statistiche aggiornate, la grande industria dei campi in Italia, Europa e nel resto del mondo, con una premessa: “non esiste una agricoltura, ne esistono tante”. Ma il libro si focalizza sull’agricoltura industriale nata dalla “rivoluzione verde” con l’obiettivo di aumentare la produzione e ridurre i costi. Una agricoltura che ha necessità di grandi quantità di input: antiparassitari, fertilizzanti, acqua, energia, macchinari. In questo contesto le aziende agricole ragionano come imprese industriali e si specializzano in poche colture che hanno necessità di sbocchi caratterizzati da elevata domanda, come le catene di distribuzione e le imprese agroalimentari.
Concettualmente è una pratica agricola disconnessa dalle risorse naturali, questo è un concetto chiave: la “modernizzazione” ha cercato di superare i limiti delle disponibilità naturali attraverso apporti di risorse artificiali o fornite tramite artifici tecnologici. Per rendere e/o aumentare la fertilità di un terreno si ricorre ai prodotti di sintesi derivati dal petrolio; per aumentare le rese si sono abbandonate le sementi locali per adottare poche varietà geneticamente migliorate. Questo distacco dalla natura ha originato la crisi ecologica.
La parte finale del libro si rivolge alle nuove agricolture, che cercano di evitare i danni e hanno maggior rispetto per l’ecosistema. Esse dovranno ricucire il rapporto spezzato fra i territori e le produzioni alimentari, ridare agli agricoltori il controllo del materiale genetico da riproduzione, perché “nelle strategie di difesa, conservazione, uso dell’agrobiodiversità, non si può fare a meno degli agricoltori e delle loro organizzazioni”.
E’ la natura stessa a indicarci che l’alternativa non è fatta di grandi piani produttivi, che generano spreco e non riescono a rispondere al diritto di tutti al civo; non è fatta di cibo pronto, iper-condito, iper-salato, iper-dolcificato, cibo che si ingurgita senza immaginazione, come se non fosse cultura, non avesse anche significati simbolici, come se il profumo di un olio d’oliva, di un fritto di cipolle, di un ribollire di fagioli non sapesse produrre molecole in grado di risvegliare in noi sentimenti e piaceri reconditi.
Il mondo delle piante mostra adattamenti e intelligenze su cui non siamo soliti soffermarci, ma che appaiono evidenti ad uno studio approfondito: “concentrandosi sulla loro diversità piuttosto che sulle somiglianze forse potremmo imparare qualcosa di nuovo”. Le piante sono la chiave di un futuro che sarà organizzato attorno a sistemi e tecnologie in rete, decentrate, modulari, interattive, ridondanti e “verdi”, capaci di nutrirci di luce.
Se riscopriremo che è nella relazione con tutti gli esseri viventi che nasce il nostro benessere, allora “non abbiamo nulla da temere dal futuro, allora gradualmente smetteremo di cercare artifici come ‘il mercato’ per gestire cose che se vogliamo possiamo gestire direttamente con responsabilità ed onestà”.
* autore di Cibo non cibo, Milano: MC (Movimenti e Cambiamenti), 2014.