IL CICLISTA PEDALAVA RASENTE AL BOSCO. QUEST’ULTIMO AVEVA INIZIATO A DORMIRE. NON SI SENTIVANO PIU’ LE SUE VOCI. TIRAVA UN’ARIA STRANA….
Il ciclista guardava se tra gli alberi c’erano presenze amiche. Ma non ve n’erano quasi più. Un Pettirosso uscì rapido dal sottobosco, incuriosito da quell’essere passante. Poi sparì veloce dietro un mucchio di rametti accatastati. V’erano infatti delle piccole fascine, lasciate lì da uomini che avevano tagliato il bosco per rifornirsi di legna da ardere. Quei rametti, messi assieme con pazienza, sarebbero serviti per dare vita al fuoco al momento di accenderlo. Poi per scaldarsi veramente ci avrebbero pensato i pezzi di legna veri e propri. Mentre il ciclista non pensava a niente, sentì un pizzico di freddo al viso. Questa sensazione scomparve subito. Pochi secondi dopo la sentì ancora.
“Ehi!” si sentì dire. Ma non capì chi fosse stato. “Vai a casa, è ora.” Sentì ancora. Si fermò rasente al bosco. Tutto silenzio. Fece per ripartire, ma si bloccò subito. Sentì un’altro brivido sul viso. Alzò lo sguardo, e capì.
“Ora è tempo che torni a casa, devo cadere” disse la neve. Aveva messo sull’avviso il ciclista, accarezzandolo sul viso con i suoi fiocchi.
“L’inverno deve ancora arrivare. Stattene tu a casa, lassù sulle vette, che nessuno ti rompeva le scatole!” rispose a tono il ciclista.
“Ma senti questo – borbottò la neve – nessuno mi aveva mai parlato così!”
“Cosa servi da queste parti? Vattene a cadere in montagna, dove almeno porti soldi. Da queste parti siamo in collina. Porti solo spese… e rotture di scatole” il ciclista non aveva nessuna intenzione di dargliele vinta.
“Ma chi pensi d’essere uomo? – sbotto la neve – Hai pedalato da febbraio, che io ero ancora sulle strade. Adesso è il momento che ti togli e lasci lo spazio a me!”
“Ma se cadi in montagna non dai fastidio. Nelle nostre città invece, dove ti posi ti spostano subito per ammucchiarti un po’ qua e là.” Rispose il ciclista.
“Ma io non sono qui per te. – disse la neve – Sono qui per proteggere il bosco e gli orti dalle gelate invernali. Cosa vuoi che m’importi di te, insolente e viziato d’un essere bipede, che quando ti faccio comodo perché devi sciarmi sopra mi vorresti alta un metro! Non sei mai stato ragazzino?” chiese spazientita la neve.
“Certo, ma questo cosa c’entra?” chiese sbigottito il ciclista.
“Quando mi vedevi cadere, mentre eri alla finestra nel calduccio di casa tua, cosa facevi? Piangevi?”
“Beh,… no…” rispose il ciclista.
“Perché invece di lamentarti sempre, non mi usi per fare contenti i tuoi figli? Regalagli un pupazzo di neve. Se vuoi cadrò abbondante vicino a casa tua” disse la neve.
“Ma io non ce l’ho perché cadi, ma non potevi aspettare?” domando il ciclista, che iniziò a cercare di trovare un’accordo. “Io vorrei pedalare ancora un poco” disse ancora.
“Posso capirti, ma pensi che il mondo debba essere qui per te? Vuoi avere il sole caldo quando vai in ferie, per poi lamentarti che fa caldo e cerchi l’ombra. Vuoi avere me quando vai a sciare,… Ma chi ti credi di essere? Mi hai mai conosciuta da vicino, o ti sei dimenticato com’ero” rispose la neve spazientita.
Il ciclista rimase in silenzio, poi disse; “Non volevo offenderti…” Pensò a quando era ragazzino, ai tempi in cui gli amici sotto casa non avevano bisogno di Internet per stare insieme. A quando andava con suo padre a raccogliere la legna nel bosco, e alla fine si scaldava in casa con una tazza di cioccolata. Il ciclista si scrollò di dosso i fiocchi che iniziavano ad imbiancargli le spalle. Ripartì con la bici.
La neve intanto cadeva sempre. Non aveva tempo di star dietro all’insolenza dell’egoismo. Lei cadeva per dare un riparo agli animali in letargo, facendo da coperta coprente sopra le tane, per proteggerle dall’aria gelida dell’inverno. Per dare un gioco ai bambini, così da “stanarli” dalle loro case a rincretinirsi di televisione. Cadeva per dare poesia alle feste del Natale, per far capire che le primavere più belle sono quelle che arrivano dopo gli inverni più rigidi. Però la neve ci rimase male. Da sempre cadeva, e gli uomini l’avevano sempre rispettata. Temuta sempre, ma rispettata. Ora doveva cadere quando volevano gli uomini e dove loro volevano? La pioggia infatti iniziò a cadere insieme a lei, abbracciate. Era la neve che iniziò a piangere. Ma poi pensò ai bambini che sarebbero stati contenti quando avrebbero giocato con lei il giorno dopo. Gli adulti la buttavano sempre via. Lontana. Non la volevano. Ma i bambini no. Per loro la neve era ancora il gioco più bello dell’inverno. Allora tornò ad essere neve. I fiocchi tornarono asciutti, larghi, poetici.
Il ciclista intanto arrivò a casa. Pensò alle cose che aveva detto e sentito parlando con la neve. Nello scendere di sella vide sua figlia più piccola andargli incontro contenta perché nevicava. Allora si svegliò dentro l’animo e tornò ragazzo, almeno lì.
“Vai a dire alla mamma che ci metta su una cioccolata, e poi domani facciamo il pupazzo di neve vicino al cancello”
“Ci mettiamo la scopa, e la carota per fare il naso?” disse la figlia.
“Va bene, ci mettiamo anche quello” e rientrarono assieme.
Il giorno dopo, un pupazzo di neve era stato fatto da poco. Aveva una carota grossa così che gli faceva un nasone enorme. Una sciarpa rovinata attorno al collo, una vecchia scopa in mano ed un berrettino da ciclista in testa.
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