BLACK SWAN (Usa 2010)
Difficile, difficilissimo dare un giudizio univoco su questo film, l’ultima fatica (è proprio il caso di dirlo: da questi 110 minuti di pellicola trasuda uno sforzo estetico veramente fuori dal comune) del regista più sopravvalutato, sottovalutato, amato e odiato di Hollywood, Darren Aronofsky. Il cigno nero. Sublime sotto certi aspetti e scontato – se non addirittura ridicolo – sotto altri.
Protagonista è Nina, giovane e timida ballerina di New York scelta per interpretare la parte principale nel Lago dei cigni. Accanto a lei il viscido e severissimo coreografo Thomas, l’ex stella del balletto Beth, troppo vecchia per brillare ancora, e l’ambiziosa Lily. Chi è Lily? Una semplice (per quanto spietata) rivale di Nina o una pericolosa proiezione inconscia della stessa ballerina, sconvolta dalla tensione e dalla doppiezza del personaggio (cigno bianco/cigno nero) che dovrà interpretare nello spettacolo?
Ed è proprio in questa domanda che risiede il sostanziale fallimento del film. Film che si ritorce su se stesso nel tentativo – ovvio – di trasmettere allo spettatore un solo concetto, già sfruttato mille volte nella storia del cinema e ancora prima della letteratura: il tema del doppio. Sorta di moderno William Wilson al femminile, Nina è se stessa ma è anche la negazione di se stessa, il suo lato oscuro scatenato dal demone dell’arte. Concetto che ci viene spiegato e rispiegato con mille metafore visive davvero facilone: Nina e Lily che rispondono contemporaneamente al cellulare (una illuminata, l’altra in ombra), Nina e Lily vestita una di bianco e l’altra di nero, Nina e Lily che si accapigliano ma poi alla fine è la sola Nina a prenderla con se stessa davanti allo specchio… Insomma, se Aronofsky e i suoi (quattro) sceneggiatori avessero deciso di dare un po’ più di fiducia al pubblico, evitando di cadere nelle trappole dello spiegone a tutti i costi, il film ne avrebbe certamente guadagnato. Anche perché il tema del doppio, come dire, si sdoppia, essendo Nina vittima non solo di se stessa, ma anche del testo che deve interpretare, trasformandosi gradualmente (nella sua testa? nella realtà?) in un vero e proprio cigno nero. Metamorfosi che ci viene illustrata alla maniera un po’ vomitevole della Mosca di Cronenberg: pelle che si squama, piume nere che fuoriescono dalle scapole, gambe che si spezzano assumendo un aspetto volatile, piedi che diventano palmati… (E non si tratta degli unici elementi horror della pellicola, che sotto certi aspetti – il sesso vissuto come colpa, l’uso spaventevole di specchi e stanze vuote/buie – ricorda da vicino il Polanski di Repulsion. Mentre la tematica dell’orgasmo mancato ha un qualcosa di buñueliano). Se il binomio Nina/Lily è palesemente scontato, quello Nina/cigno nero è di valore (estetico) soggettivo: magari qualcuno lo troverà geniale, per me si tratta di un’invenzione ridicola. Specialmente quando la ballerina, cercando di strozzare la rivale, si ritrova tra le mani il collo lungo e duro di un enorme cigno umano. Prendere o lasciare.
Decisamente notevole, in senso positivo, è invece il discorso tecnico-registico, dove viene fuori tutto l’indiscutibile virtuosismo di questo indecifrabile regista. Particolarmente riuscite le scene di ballo (sia le prove sia lo spettacolo finale), in cui la telecamera, spesso traballante, insegue da vicino gli artisti girando loro intorno, mostrando il loro sguardo in soggettiva, danzando a sua volta. Viene da pensare che se Aronofsky decidesse di occuparsi delle riprese di un vero balletto, senza la preoccupazione di metterci attorno una storia, ne verrebbe fuori qualcosa di straordinario. Come straordinaria è l’interpretazione della protagonista Natalie Portman, ennesima conferma (cfr. V per Vendetta, L’ultimo inquisitore…) del fatto che questa attrice 29enne è il più grande talento della sua generazione. Candidata all’Oscar: se non ora quando?
Alberto Gallo