Il cimitero di Praga, sesto romanzo del maestro Umberto Eco, è forse quello più politicamente scorretto: c’è dentro la sintesi massima della cinica e ironica visione del mondo attraverso al lente d’ingrandimento della dietrologia.
Protagonista del romanzo è Simonino Simonini. Ambizioso, meschino e crudelmente intelligente, Simonini è un falsario e insieme un agente segreto affiliato a varie agenzie di spionaggio tra l’Italia e la Francia; grazie alla sua spietata arguzia sarà in grado di sovvertire gli equilibri storici di un periodo critico come quello del Risorgimento. Dalla spedizione dei mille, al seguito di Garibaldi, ai vicoli di Parigi durante le agitazioni anarchiche della fine del XIX secolo, il lavoro del nostro anti-eroe plasmerà gli scenari ideologici che hanno portato alla definizione di gran parte dei complotti segreti della storia europea. La produzione di documenti inventati ad hoc sarà la base su cui si evolverà tutta la cultura dietrologica che va tanto di moda oggi. In pratica: se siete a conoscenza di una congiura segreta nell’Europa di inizio 1900 state pur certi che dietro c’è Simonini.
Giusto per rendervi conto del personaggio con cui abbiamo a che fare considerate che, a un certo punto della storia, gli basterà appena un’ora di lavoro per mettere in imbarazzo un’intera nazione.
Simonini è anche un uomo che non ha paura di venire a patti con la sua coscienza e di valutare, secondo il metro della moralità e della correttezza, il suo lavoro ma, a differenza di quanti non saprebbero come convivere con un lavoro così turpe, egli semplicemente ne fa un’arte: le opere falsificate dal Simonini sono veri capolavori, difficilmente distinguibili dai documenti originali ma allo stesso tempo così grottescamente falsi da non poter sembrare per nessuna ragione al mondo validi. Il suo Cimitero di Praga, nelle sue complesse e variegate interpretazioni, funge da catalizzatore per tutti i pensieri dietrologici che accomunano i governi dell’Europa risorgimentale. Si tratta di un documento del tutto inventato dal Simonini che è così straniante da essere verosimile: un insieme di luoghi comuni, credenze e pregiudizi che si accentrano tutte nella caratteristica più endemica della razza umana, la xenofobia.
Occorre che le rivelazioni siano straordinarie – spiega il falsario – solo così diventeranno credibili. E infatti le sue rivelazioni sono decisamente deflagranti in una realtà storica in cui è meglio non possedere nessun segreto e far credere di possederne: l’importante è sapere quello che gli altri non sanno che tu sai.
Simonini non è l’unica voce narrante del romanzo: a fargli da contrappunto e a rendere la struttura decisamente avvincente è la sua controparte che risponde al nome del misterioso abate Dalla Piccola. Costui comunica col protagonista mediante una corrispondenza epistolare che ha lo scopo, per entrambi, di cercare di capire chi sia in realtà il vero protagonista delle vicende che hanno vissuto in comune. Dalla Piccola è un personaggio mistico che gioca spesso il ruolo di un perverso grillo parlante per Simonini: consiglia, persuade e dissuade ma alla fine si scopre che il suo contributo per ogni sorta d’impresa è decisivo. Le conversazioni tra il falsario e l’ecclesiastico rappresentano una specie di momento autistico della storia, una nebbia fitta che non vuole confondere il lettore ma piuttosto fornirgli un secondo punto di vista su fatti che, impregnati come sono di segretezza e furbizia, spesso diventano estremamente difficili da comprendere.
In ultima analisi si può dire che Simonini sia un personaggio trasversale alla vicenda, un uomo che fatica ad avere un’identità ben definita poiché è costretto ad assumerne troppe, un essere vivente che ha edulcorato la caratteristica umana della resilienza con abbondanti dosi di auto-giustificazione: non un personaggio positivo ma, almeno, un personaggio credibile nella sua malvagità calcolata.