Tutto quello che avreste sempre voluto sapere sul cinema e non avete mai osato chiedere, o almeno 11 domande. Noi abbiamo osato chiederlo a Roy Menarini, critico e studioso di cinema tra i più influenti in Italia. Le risposte sono illuminanti.
Cinema e fantascienza: "personalmente l’oggetto di studi più amato di sempre"
1) Internet avrebbe dovuto uccidere il cinema togliendo spettatori dalle sale. E invece (a parte la piccola crisi dell’ultimo anno) gli spettatori non calano in nessuna parte del mondo e il web ha aperto nuovi e affollatissimi spazi di dibattito per appassionati o per semplici spettatori. Ma il cinema non doveva essere morto nel secolo scorso?
In effetti non si capisce perché avrebbe dovuto morire, nel senso che nessun mezzo espressivo è mai morto del tutto: il cinema doveva uccidere il teatro, la televisione doveva uccidere la radio, il web doveva uccidere la televisione, e ogni volta ci si stupisce che le cose non siano andate così. Gli studiosi, come Bolter e Grusin, hanno ampiamente spiegato che i media si “rimediano”, ritrovano uno spazio integrandosi gli uni con gli altri. Detto ciò bisogna distinguere tra cinema – che culturalmente è vivo più che mai – e sale, alcune delle quali (il d’essai) soffrono parecchio per la concentrazione del gusto popolare solo su alcuni film da multiplex.
2) Il proliferare di blog cinematografici e siti specializzati ha allargato la platea di chi scrive di cinema e anche di chi ne legge. Ma se in tanti lavorano gratis e mettono a disposizione gratuitamente una mole enorme di informazioni è ancora possibile sperare di poter vivere scrivendo di cinema?
Scrivendo forse no, ma facendo il critico e l’esperto sì. Oggi la scrittura giornalistica professionale è assediata dal web e dal “you-journalism”, ormai le competenze si sono diffuse e il volontariato giornalistico, anche dopolavoristico, esonda ovunque. Tuttavia rimangono pochi quelli che sanno valutare un film, hanno le competenze in storia del cinema, sono in grado di costruire un palinsesto e un evento culturale, seguire una pubblicazione editoriale, immettere contenuti in un sito, e così via. E’ l’epoca del critico multimediale e imprenditore di se stesso.
3) Sulla stampa sia cartacea che online spesso le rubriche di cinema non sono tenute da esperti del settore ma da giornalisti che trattano il cinema per parlare di altro. Questo non succede per letteratura, arte, teatro e neanche per la musica pop. Perché questa sorte è capitata proprio al cinema? Perché tutti sono convinti di avere i titoli per parlar di cinema?
In parte credo accada in verità anche in altri settori, sia pure in misura minore. La risposta è sì, tutti pensano che il cinema sia un fatto che li riguarda e che la reazione emotiva sia sufficiente a dire che cosa va e che cosa no. Vale la massima di Truffaut: tutti hanno due mestieri, il proprio e quello di critico cinematografico. Io aggiungo: e l’allenatore di calcio.4) Un critico influente come lei subisce pressioni dagli editori o dalla redazione dei giornali per cui scrive? Si fanno sentire anche produttori o distributori?
Io no. Ma in generale dipende dalla testata. Oggi molto meno di ieri, in ogni caso. Spesso capita che siano gli indipendenti o i piccoli a protestare per una recensione poiché ogni minimo spazio di visibilità è prezioso, e se vengono stroncati perdono le staffe. Il critico, però, pur usando di caso in caso lo stiletto o la clava a seconda del buon senso, deve rimanere autonomo . Nei grandi portali, invece, accade che chi paga la pubblicità (magari un grosso distributore) pretenda (per regola non scritta) di non trovare una stroncatura del suo film poche righe sotto il banner. I direttori aggirano il problema cercando il collaboratore cui il film è piaciuto e salvandosi così la coscienza.
5) In Italia si registra il grande successo delle ‘nuove’ commedie italiane, quelle con i benvenuti al sud e al nord, con gli immaturi, con gli uomini contro donne e viceversa … ancora una volta pubblico e critica prendono direzioni opposte. Chi ha ragione?
Paradossalmente hanno ragione tutti. Il produttore che fa i film (se incassano), il pubblico se davvero si è divertito, il critico che segnala la pochezza culturale della pellicola. Il critico deve essere un rompipalle, non deve aver paura di essere lontano dal pubblico. Gli spettatori sono un’entità strana, apprezzano spesso cose brutte così come gli elettori votano spesso gentaglia. Ma non tutti sono così, e il critico deve orientare, spiegare, senza puzza sotto il naso ma nemmeno facendo l’intellettuale pop solo per rimanere “à la page”.
6) Perché mentre da noi hanno successo anche commedie francesi o di altri paesi europei, l’Italia non riesce ad esportare i film che da noi stanno in testa alle classifiche?
Questo è il vero dramma. Il cinema italiano fa film per gli italiani. Tutto è realizzato attraverso presunti studi di marketing ma poi siamo sempre alla vecchia storia dello sfruttamento intensivo del singolo filone che funziona. Non a caso hanno sfondato all’estero gli autori sinceri: Moretti parlava solo di se stesso e della sinistra eppure in Francia l’hanno capito tutti; “Gomorra” parla dei ghetti di Napoli ed è stato apprezzato ovunque; Andreotti all’estero se lo ricordano a stento eppure “Il divo” è stato amato persino in Svezia! Insomma, si facciano film creativi e il mondo li saprà apprezzare, così come noi comprendiamo “Quasi amici” o i disoccupati finlandesi di Kaurismaki.
7) Come mai alcuni generi che hanno successo in tutto il mondo (film con supereroi, commedie romantiche americane, blockbuster ipertecnologici …) da noi funzionano molto meno?
Da noi funzionano meno solo negli ultimi anni. Ora “The Avengers” sembra aver invertito il trend. Eppure, tutti quelli che si auguravano la de-americanizzazione del cinema, ora scoprono che i sostituti (Bisio o I soliti Idioti) non è che siano un balsamo per l’anima e per la cultura. Penso che l’Italia abbia vissuto anni – il periodo berlusconiano – sotto una cappa di tale provincialismo, compresi gli oppositori ossessionati da Ruby, che ha impedito persino di avere curiosità verso il prodotto hollywoodiano. Se il trend cambierà, come pare, la mia teoria sarà risultata giusta.
8) E’ possibile dire ‘oggettivamente’ se un film è bello oppure no? E se sì, allora perché capita così spesso che su un film critici diversi abbiano opinioni così divergenti? (vedi ad esempio la pagina i 400 colpi di Film TV)
La rubrica 'I 400 colpi' di FilmTV mette a confronto i voti di 30 critici. Per esempio "To Rome with love di Woody Allen" da 0 a 8 o "Diaz" da 2 a 10 in poche colonne. Cliccare sulla foto per ingrandire l'immagine e leggere i voti dei film oggi in sala.
Domanda impossibile. Diciamo che l’oggettività esiste solo nella scienza. Il cinema ha perso da tempo, come del resto altre arti, la dimensione più tradizionale e canonica del sapere. Nessuno oggi, a parte qualche luddista, mette in dubbio la grandezza di Kurosawa o Pasolini, ma domani quale consenso ci sarà di fronte a Von Trier, Malick o Tarantino? Tutti litigano su tutto. Allora io valuto positivamente i criteri quantitativi: ci sono siti come rottentomatoes.com che mostrano la percentuale delle recensioni; poi ci sono i premi ai festival; poi i premi delle istituzioni; infine lo studio dell’”impact factor” del singolo film negli anni successivi (citazioni, permanenza nei discorsi critici, etc.). Per dire: “The Artist” a me non è piaciuto gran che però penso – visti i premi e il consenso universale – che vi sia una certa oggettività nel fatto che sia un film importante e che ha inciso sulla cinefilia di oggi.
9) Riesce a mantenere viva la sua passione nonostante il cinema sia diventata una professione che la coinvolge 24 ore al giorno e nonostante sia “costretto” a vedere tutti i film compresi i cinepanettoni o i film di Inarritu?
Quando c’è la passione, è inesauribile! Mi stupisco di vedere colleghi impigriti. Certo se ti accontenti di quel che passa il convento, ti abbrutisci. Ma se sei sempre in cerca, nei festival, sul web, ovunque, di cose nuove e belle, allora sopporti anche Neri Parenti. E Inarritu talvolta mi piace!
10) Dal suo blog, oltre le mille attività professionali, si legge che ha una famiglia, è vegetariano e interista, tutte attività che richiedono passione e impegno. La domanda è: la sua giornata è fatta di più di 24 ore o usa delle controfigure?Ah, ah, me lo chiedono in tanti! Ma io poi vedo altri ancora più impegnati di me che magari scrivono pure romanzi! No, a parte gli scherzi, questa è una mia unicità. Credo che per poter fare tutto quello che si ama serva una organizzazione molto seria del proprio tempo. Odio lasciarmi sfuggire il tempo. La vita è solamente una, e pure breve, e io ho un desiderio di conoscenza enorme.
Che io sia poi chiamato per la gran parte della mia esistenza a diffondere la conoscenza (come docente), a divulgarla (come critico o storico del cinema), o a organizzarla (festival), non toglie che il vero motore per me sia quello della fame di sapere: c’è sempre un film, un libro, un saggio, un disco, una mostra, una foto, un serie tv, etc. che merita di essere assaggiata e goduta (e analizzata). Il mio amico e collega Claudio Bisoni ha detto che mentre le persone normali devono avere una motivazione per vedere un dato film, io devo avere una motivazione enorme per non vederlo: in genere sono un’aspirapolvere culturale. E dunque stipo ogni ora della giornata secondo un programma molto denso…. Certo l’impegno da interista è di gran lunga il più faticoso.
11) Infine la peggiore domanda di tutte: quali sono gli 11 film che si porterebbe nell’ipotetica isola deserta?
Ok sto al gioco, e mi scuso subito per quanto poco sarò sorprendente:
- Il posto delle fragole
- La donna che visse due volte
- Barry Lyndon
- 2001 – Odissea nello spazio
- Quarto potere
- Jules e Jim
- La dolce vita
- Io e Annie
- Aurora…
poi più personali e passionali: - Bianca di Nanni Moretti
- Blade Runner di Scott.
L’idea che mi tiene in vita, tuttavia, è sperare sempre che un prossimo film scalzi uno di questi 11.