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Tra i ragazzacci del cinema americano non si può non citare Robert Rodriguez, compagno di merende di Quentin Tarantino, con cui condivide il gusto per il cinema pulp, spinto oltre il limite.
La sua carriera inizia con El Mariachi, primo capitolo della cosiddetta “trilogia messicana”, in cui si introduce il tema del chitarrista divenuto sicario in cerca di vendetta. Forte di un successo inaspettato, Robert Rodriguez realizza Desperado e C’era Una Volta in Messico, ampliando sempre di più sia il lato kitsch che il cast. Il raffinato espediente di nascondere le armi nella custodia di una chitarra, spacciando sicari per musicisti, diventa presto l’apripista per esprimere la venatura trash del regista.
Man mano che la saga prosegue, raccogliendo per strada Antonio Banderas, Salma Hayek, Johnny Depp e Eva Mendes, le custodie per chitarra finiscono per ospitare missili, lanciafiamme e bombe radiocomandate, accompagnando i “mariachi” in sparatorie talmente esagerate da sconfinare volutamente nel ridicolo.
Il sodalizio artistico con Tarantino parte nel 1995, dove entrambi firmano un episodio di Four Rooms, in cui Tim Roth interpreta il facchino di un grande albergo, alle prese con gli atipici clienti di 4 camere che introducono ciascuna una storia diversa.
A Robbie e Quentin probabilmente è bastato uno sguardo per intendersi, al punto che quest’ultimo finisce per recitare la parte del killer psicotico in “Dal tramonto all’alba”. Forse questa pellicola incarna al meglio il gusto per il grottesco del regista texano inscenando la fuga verso il messico dei fratelli Gecko (Clooney e Tarantino), rapinatori precipitati in un horror fatto di vampiri putrescenti dopo quaranta minuti iniziali di puro “crime movie”.
Tra gli attori figurano grandi nomi come Harvey Keitel e volti simbolo delle stereotipo messicano presso Hollywood (Ceech Marin e Danny Trejo). Ospite d’onore: Tom Savini, icona del mondo dei truccatori e degli effetti speciali, famoso per il make-up degli zombie nei film di Romero e per altri horror simbolo come Venerdì 13.
In mezzo a tutto questo Robert Rodriguez firma anche la serie Spy Kids, film di avventura ritagliati su misura di “under 13″, rigorosamente vietati a chi ha già avuto almeno un brufolo in vita sua.
Il successo commerciale però è la regola ferrea di Hollywood, che lo convince a fare da balia a Frank Miller per l’adattamento cinematografico di Sin City. Il risultato è un noir poliziesco che inscena un soggetto ruvido ed elegante allo stesso tempo, dove personaggi moderni vengono vestiti con atmosfere nostalgiche di Humphrey Bogart e incorniciati in una suggestiva tricromia bianco-rosso-nero. Inizialmente tutti pensavano fosse stato Miller il principale artefice di quella piccola perla, perchè il soggetto a fumetti originale era suo e anche perchè il curriculum di Rodriguez ormai era fondato su film volutamente trash. Nel 2008 Miller, da solo, firma The Spirit, dimostrando che un ottimo gusto visivo non basta da solo a fare un buon film.
La nuova collaborazione di Robbie e Quentin arriva nel 2007 con Grindhouse. Il progetto si rifà alla tradizione americana degli anni 70, dove venivano proiettati due film al prezzo di un biglietto nel circuito dei film thriller-horror a basso costo. Entrambi firmano un episodio: Death Proof (“A prova di morte”, di Tarantino) e Planet Terror (di Rodriguez) e il film viene distribuito quasi ovunque nel formato “2×1″ in omaggio ai titoli a cui si ispirano. In Italia però le due pellicole vengono separate e Death Proof viene ribattezzato scippando il nome Grindhouse dell’intero progetto. La grande trovata pubblicitaria fu quella di distribuire dei finti trailer, che inizialmente dovevano mostrare i due film contenuti in Grindhouse, arrivando anche a convincere il pubblico della loro autenticità, visto che coinvolgevano attori come Nicholas Cage (nello specifico per “Le donne-licantropo delle SS”, altro omaggio a quello sbandamento cinematografico divenuto genere negli anni 70).
Tra questi spiccava “Machete” in cui Danny Trejo otteneva un ruolo da protagonista. L’idea piacque al punto da rendere Machete un film vero nel 2010, sostenuto, al solito, da un cast di tutto rispetto, atmosfere truculente infarcite di esagerazioni e da quel grottesco-ridicolo alla base del genere.
Memori del “gusto per il cattivo gusto”, pubblico e critica apprezzano i lavori di Rodriguez che, visti in quest’ottica, funzionano e divertono alla perfezione. Tutto si basa sulla comicità involontaria che gli horror anni 70 suscitavano, nella pretesa di essere seri e credibili con improbabili miscugli e grossolane esagerazioni.
Sapientemente Rodriguez pesca gli stereotipi, li mescola con molta azione ed esagera dove sa che può ottenere un risultato esilarante, simulando quell’inconsapevole verve comica che da noi ha trovato epigoni in film come “La croce delle sette pietre”, meglio conosciuto come “Il lupo mannaro contro la camorra”…..Ma quella è un’altra storia.