Riapro la ferita che so che nessun ha mai dimenticato, di quando tutti noi, bambini delle elementari, in occasione della morte di Napoleone abbiamo dovuto imparare a memoria una delle poesie (anche se sarebbe meglio dire odi) più famose della storia italiana.
In realtà io preferivo il metodo dei miei tempi, quando le poesie si studiavano a memoria, piuttosto che quello moderno in cui i bambini si accostano alla poetica decadente e al significanto profondo di odi e versi già da piccolissimi, peraltro senza capire molto. In questo modo qui non solo sviluppano una discreta avversità nei confronti della poesia, che per loro è solo triste e deprimente (perchè naturalmente si scelgono cose facili tipo il pessimismo cosmico di Leopardi, Baudelaire e tanta altra gente allegra), ma in più non vantano neppure quel minimo di memoria delle strofe principali, ho conosciuto gente che non ricordava neanche un pezzetto del Sabato del villaggio! Ovvove!
Ma vabbè...
Scritta da Alessandro Manzoni nel 1821 e dedicata al grande [si fa per dire] condottiero corso, Il Cinque Maggio è forse una delle poesie più ricche di aneddoti divertenti, come il fatto che, anche se scritta in occasione della morte dell'Imperatore dei francesi, in realtà il componimento è stato iniziato a luglio perchè il nostro Alessandro, che si documentava scrupolosamente tramite i giornali, all'epoca non precisamente quotidiani, riportarono la morte di Napoleone solo dopo tre mesi... per noi utenti del XXI secolo, che conosciamo le news in tempo reale, salvati da Twitter e Facebook, veri cronisti della vita, la cosa ha dell'assurdo, ma due secoli fa, quando l'informazione era un lusso che non tutti potevano permettersi e un quotidiano era simbolo di una borghesia sempre più rampante e di un'innovazione tecnologica in fase di crescita, ma pur sempre alle aste, era normale conoscere questo genere di informazioni con un discreto ritardo.
Vi lascio adesso ad Alessandro, che saprà sicuramente suscitare in voi emozioni ben migliori di quelle che potrò mai fare io, non solo per via del soggetto, dato che è risaputo che Napoleone mi sta simpatico tanto quanto i cavoletti di Bruxelles, ma anche perchè Manzoni ha messo in questa ode tutta la grandezza di un personaggio che noi non conosceremo mai.
Ei fu. Siccome immobile,
dato il mortal sospiro,
stette la spoglia immemore
orba di tanto spiro,
così percossa, attonita
la terra al nunzio sta,
muta pensando all'ultima
ora dell'uom fatale;
né sa quando una simile
orma di pie' mortale
la sua cruenta polvere
a calpestar verrà.
Lui folgorante in solio
vide il mio genio e tacque;
quando, con vece assidua,
cadde, risorse e giacque,
di mille voci al sònito
mista la sua non ha:
vergin di servo encomio
e di codardo oltraggio,
sorge or commosso al sùbito
sparir di tanto raggio;
e scioglie all'urna un cantico
che forse non morrà.
Dall'Alpi alle Piramidi,
dal Manzanarre al Reno,
di quel securo il fulmine
tenea dietro al baleno;
scoppiò da Scilla al Tanai,
dall'uno all'altro mar.
Fu vera gloria? Ai posteri
l'ardua sentenza: nui
chiniam la fronte al Massimo
Fattor, che volle in lui
del creator suo spirito
più vasta orma stampar.
La procellosa e trepida
gioia d'un gran disegno,
l'ansia d'un cor che indocile
serve, pensando al regno;
e il giunge, e tiene un premio
ch'era follia sperar;
tutto ei provò: la gloria
maggior dopo il periglio,
la fuga e la vittoria,
la reggia e il tristo esiglio;
due volte nella polvere,
due volte sull'altar.
Ei si nomò: due secoli,
l'un contro l'altro armato,
sommessi a lui si volsero,
come aspettando il fato;
ei fe' silenzio, ed arbitro
s'assise in mezzo a lor.
E sparve, e i dì nell'ozio
chiuse in sì breve sponda,
segno d'immensa invidia
e di pietà profonda,
d'inestinguibil odio
e d'indomato amor.
Come sul capo al naufrago
l'onda s'avvolve e pesa,
l'onda su cui del misero,
alta pur dianzi e tesa,
scorrea la vista a scernere
prode remote invan;
tal su quell'alma il cumulo
delle memorie scese.
Oh quante volte ai posteri
narrar se stesso imprese,
e sull'eterne pagine
cadde la stanca man!
Oh quante volte, al tacito
morir d'un giorno inerte,
chinati i rai fulminei,
le braccia al sen conserte,
stette, e dei dì che furono
l'assalse il sovvenir!
E ripensò le mobili
tende, e i percossi valli,
e il lampo de' manipoli,
e l'onda dei cavalli,
e il concitato imperio
e il celere ubbidir.
Ahi! forse a tanto strazio
cadde lo spirto anelo,
e disperò; ma valida
venne una man dal cielo,
e in più spirabil aere
pietosa il trasportò;
e l'avvïò, pei floridi
sentier della speranza,
ai campi eterni, al premio
che i desideri avanza,
dov'è silenzio e tenebre
la gloria che passò.
Bella Immortal! benefica
Fede ai trïonfi avvezza!
Scrivi ancor questo, allegrati;
ché più superba altezza
al disonor del Gòlgota
giammai non si chinò.
Tu dalle stanche ceneri
sperdi ogni ria parola:
il Dio che atterra e suscita,
che affanna e che consola,
sulla deserta coltrice
accanto a lui posò.
Alessandro Manzoni