Oggi è apparsa su Repubblica un'intervista a Bernardo Bertolucci in cui si parla di Paolo Brunatto, regista dell'underground italiano scomparso tre giorni fa. Un evento piuttosto inconsueto, che non riguarda tanto Bertolucci, pure lui comunque caduto nel dimenticatoio dopo la malattia e la lontananza dal cinema, quanto Brunatto, che era uno di quegli autori che nemmeno i frequentatori di festival conoscono, di cui al massimo parlavano Il manifesto o Ghezzi e che ogni qualvolta venivano omaggiati da qualche retrospettiva, con il volenteroso intento di riscattare la storia sommersa del cinema italiano, si ritrovavano di fronte una sala semivuota e uno sparuto gruppetto di cinefili adoranti o coetanei con la passione per l'underground e per la grana del super8. Personalmente non ho mai fatto parte della categoria, ma mi è capitato di lavorare su film dello stesso Brunatto e di altri registi della stagione d'oro dell'underground (primi anni '70), prima Bargellini e poi, recentemente, Bacigalupo: nessuno di quegli autori mi ha scaldato il cuore, come del resto i loro ben più esaltati maestri americani Brakhage o Mekas, ma mi dà un po' fastidio, conoscendo la ritrosia di cui si facevano portatori, vederli conquistare le pagine di uno quotidiano solo perché introdotti dalle parole di un autore amico, ma infinitamente più potente, inserito, anche talentuoso. E' un risarcimento che sa di ulteriore beffa: se era vero underground nemmeno un coccodrillo gli si addirà.
Magazine Cultura
Oggi è apparsa su Repubblica un'intervista a Bernardo Bertolucci in cui si parla di Paolo Brunatto, regista dell'underground italiano scomparso tre giorni fa. Un evento piuttosto inconsueto, che non riguarda tanto Bertolucci, pure lui comunque caduto nel dimenticatoio dopo la malattia e la lontananza dal cinema, quanto Brunatto, che era uno di quegli autori che nemmeno i frequentatori di festival conoscono, di cui al massimo parlavano Il manifesto o Ghezzi e che ogni qualvolta venivano omaggiati da qualche retrospettiva, con il volenteroso intento di riscattare la storia sommersa del cinema italiano, si ritrovavano di fronte una sala semivuota e uno sparuto gruppetto di cinefili adoranti o coetanei con la passione per l'underground e per la grana del super8. Personalmente non ho mai fatto parte della categoria, ma mi è capitato di lavorare su film dello stesso Brunatto e di altri registi della stagione d'oro dell'underground (primi anni '70), prima Bargellini e poi, recentemente, Bacigalupo: nessuno di quegli autori mi ha scaldato il cuore, come del resto i loro ben più esaltati maestri americani Brakhage o Mekas, ma mi dà un po' fastidio, conoscendo la ritrosia di cui si facevano portatori, vederli conquistare le pagine di uno quotidiano solo perché introdotti dalle parole di un autore amico, ma infinitamente più potente, inserito, anche talentuoso. E' un risarcimento che sa di ulteriore beffa: se era vero underground nemmeno un coccodrillo gli si addirà.
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