Il modello TOTE
Nel 1960, Miller, assieme a Eugene Galanter e Karl Pribram pubblica “Piani e struttura del comportamento”. I tre autori, per analizzare il comportamento, utilizzano una nuova unità operativa, il TOTE, acronimo di Test, Operate, Test, Exit, che afferma che quando un individuo vuole compiere una azione formula un comportamento per ottenere lo scopo prefissato, formula anche un test mirante a verificare la congruenza esistente tra realtà esterna e tale scopo. Il soggetto passa alla fase operativa, eseguendo poi un nuovo test per verificare la nuova situazione. Queste unità operative possono essere embricate gerarchicamente, costruendosi a più livelli, da molecolare a molare. Il cambio metodologico è radicale: per sapere la strategia operativa l‟unico strumento è chiedere al soggetto una descrizione operazionale. Proprio questo è ciò che un comportamentista classico non avrebbe fatto: Per i tre autori “è meglio scoprire cosa sta facendo una persona, piuttosto che ritenere che stia facendo ciò che si vuole studiare”: il “cosa fa” non va quindi inteso come comportamento esterno, ma come processo di elaborazione delle informazioni che il soggetto compie
La psicolinguistica
Nel 1957 Noam Chomsky pubblica “Syntactic structures” come critica radicale al testo “Verbal behavior” di Skinner. L‟approccio di Chomsky è innatista: parte dalla considerazione che il parlante nativo di una lingua è perfettamente in grado di distinguere quali frasi della sua lingua materna sono ben formate sintatticamente o meno. La teoria generativo-trasformazionale si basa su più elementi: 1. il linguaggio verbale è il comportamento specie-specifico dell‟uomo, fondandosi su strutture biologiche innate tipiche della specie umana, postulando l‟esistenza di un dispositivo per l‟acquisizione del linguaggio (language acquisition device, LAD), radicato nella struttura biologica del sistema nervoso 2. il comportamento linguistico è legato a due aspetti distinti, la competenza e l‟esecuzione. Ogni frase può essere elaborata nelle possibili forme differenti: attiva/passiva, interrogativa/affermativa, assertiva/negativa. Questo permette di distinguere la struttura superficiale [livello di esecuzione] (l‟espressione finale, comunque sia rappresentata) dall‟elemento profondo (la datità), distinguendo e segmentando la frase in sintagma nominale e sintagma verbale (cf. es. La vecchia porta la sbarra). I limiti dello studio di Chomsky si rilevano nel suo volgersi esclusivo a fatti sintattici e al suo riferirsi soltanto a frasi anziché a testi, impedendo la soluzione di alcune ambiguità. Lo studio di Chomsky segna una svolta, come rottura epistemologica, nell‟analisi gerarchica della linguistica, che esclude processi stocastici, e nell‟impostazione innatista (il parlante nativo), come ritorno ad una sorta di introspezionismo, come osservazione naturalista, soprattutto per il linguaggio infantile.
Neisser e il paradigma HIP
Nel 1967 Ulrich Neisser (1928-) pubblica il libro “Psicologica cognitivista”. In esso afferma che il modello TOTE è un modello solistico, che offre una rappresentazione dall‟alto al basso. Neisser propone di considerare le cose dalla altra prospettiva, dal basso all‟alto, come elaborazione delle informazioni da parte dell‟uomo.
L‟uomo è descritto metaforicamente come un elaboratore di informazioni, come una macchina di von Neumann, dotata di una CPU. La CPU estrae serialmente dalla memoria informazioni e le elabora attraverso un collegamento, il collo di bottiglia. Questo indica anche alcuni aspetti della proposta: 1. il software può funzionare indipendentemente dallo specifico hardware; 2. i programmi sono organizzati in termini di sub-functions. Nel 1975 Massaro indica nell‟HIP un assunto fondamentale paradigmatico: tra stimolo e risposta vi sono interposte una serie di operazioni mentali che richiedono fasi di elaborazione successive e lente (da qui gli studi di cronometria mentale). I costrutti di fondo sono due: 1. funzionale, che descrive la natura delle informazioni, 2. strutturale, che definisce le operazioni svolte. E‟ da ricordare come la similitudine della HIP fu criticata dallo stesso Neisser nel 1976 quando questa si era resa col tempo sempre più rigida e lontana dalla realtà vissuta quotidianamente, nel testo Conoscenza e realtà.
Il modularismo
Jerry Allan Fodor sostiene la tesi della modularità della mente e del linguaggio del pensiero, secondo la quale il modulo del linguaggio sarebbe innato e l‟apprendimento non sarebbe altro che una “conferma di ipotesi”. Il suo modello prevedere una architettura cognitiva distinta in diverse strutture verticali che trasformano computazionalmente gli input in rappresentazione che offrono al sistema cognitivo. Esistono strutture altamente specializzate che analizzano gli input con modalità autonome. I moduli sono incapsulati informazionalmente, nel senso che durante il loro processo non hanno accesso né alla rappresentazione delle conoscenze dell‟individuo né alle informazioni delle altre parti del sistema cognitivo.
Tale modello modulare trova risconti in neuropsicologia, con plausibilità data nella modellizzazione di infinite sindromi neurologiche, a cui lesioni cerebrali specifiche corrisponde perdita cognitiva o comportamentale specifica.
Il primo paradigma cognitivista, il paradigma computazionale simbolico teorizzato da Fodor (1983) e Pylyshyn (1984) definisce il sistema cognitivo come una serie di regole per la trasformazione di simboli (Human Information Processing): le capacità computazionali del sistema trasformano gli input in rappresentazioni, attraverso strutture modulari che entrano in funzione secondo modalità specifiche e differenziate.
Le regole sequenziali e il carattere localizzato dell’elaborazione non rendono conto, però, di importanti fenomeni dell’esperienza quali la flessibilità della cognizione biologica o la riorganizzazione totlae del comportamento in seguito a danni cerebrali localizzati: A questi e ad altri problemi si cercò di rispondere con la formulazione del secondo paradigma, quello connessionista. Il sistema cognitivo non è più visto come un processore di segnali, ma come una rete di interconnessioni, un’auto-regolazione complessa, per cui, più che la metafora computazionale, vale la somiglianza con il sistema nervoso reale.
PUNTI DEBOLI DEL COGNITIVISMO:
- si era data troppa fiducia all’intelligenza artificiale
- è difficile confrontare modelli dell’interno guardando solo all’esterno
- in via teorica è vero che uno stesso programma può girare su qualsiasi computer ma i meccanismi concreti non sono così versatili come i computer astratti. In altre parole l’hardware del cervello è specializzato a fare certe cose piuttosto che altre
- il funzionalismo cognitivo si concentra sulle funzioni piuttosto che sui meccanismi cerebrali che le realizzano. Questo fa si che ci siano conoscenze a metà, che si ipotizzino funzioni che quel meccanismo non può compiere, ed infine per riparare un meccanismo dobbiamo sapere com’è fatto non cosa fa (es. patologie)
- l’enfasi su cognizione e elaborazione di informazioni hanno fatto si che si trascurassero quei comportamenti che non sono descrivibili in questi termini come emozioni e motivazioni (fame, sete, sonno…).