È vero, l’abito non fa il monaco, ne sono fermamente convinta. Eppure, eppure… guardereste e poi tocchereste qualcosa il cui aspetto non sia invitante? Senza ombra di dubbio il nostro occhio si lascia attrarre da un oggetto, che abbia un aspetto nuovo o noto, purché esso sia gradevole. D’altronde è questo il motivo per cui in questi giorni stiamo racchiudendo in carte luccicanti e colorate le pantofole grigie per il nonno e il profumo per la mamma, no? Perché il regalo all’interno, sia pure esso un pensierino minuscolo, sia più attraente per chi lo riceve.
Per quel che riguarda i libri, il discorso è molto simile. La copertina di un libro,e non credo di parlare solo a mio nome, costituisce un’attrattiva aggiuntiva -ma nient’affatto superflua- al contenuto del libro stesso ed una scelta azzeccata di colori ed immagine può favorire di molto le vendite (o, in caso di “passo falso”, danneggiarle). Ma soprattutto, la copertina stessa può diventare il biglietto da visita e la carta di identità della casa editrice: una copertina infatti non rappresenta soltanto ciò che il libro contiene, ma anche una scelta editoriale ed anche artistica precisa, un’impronta che si ripete sia nelle collane sia nel singolo libro.
L’arancio vivo dei Penguin Books accende lo sguardo di ogni lettore anglofono ed è a tal punto rinomato che delle copertine del pinguino letterato è stata persino edita una storia dalla creazione agli anni 2000. E non rappresentano forse quello spirito tipicamente britannico, pratico e sobrio nella sua studiata semplicità?
Allo stesso modo, non v’è francese che non conosca e si riconosca nelle copertine della Gallimard classicheggianti e rigorose: il color panna che non teme le ditate, il titolo inquadrato in una doppia sottile cornice, le rouge et le noir (guarda il caso…) dei caratteri che paiono scolpiti sulla pietra.
Ma anche il lettore italiano ha i propri punti di riferimento visivi nel caos affollato del nostro panorama librario, come notavamo proprio stamattina in una piacevole chiacchierata da 140 caratteri con alcuni “interessati” del settore.
Entrando in libreria o sugli scaffali in casa di un lettore distinguo con piacere –lasciandomene quindi attrarre- i colori pastello e la carta opaca delle edizioni Adelphi ed in particolar modo, per mio personale gusto, dei volumi della Piccola Biblioteca, senza immagine, solo con il logo che riprende un pittogramma cinese dal significato importante: morte e rinascita.
La casa editrice si presenta come un luogo ideale dove l’ignoranza trova la fine ed inizia una forma di vita più consapevole illuminata dalla “luna nuova”
Il bianco dell’ampiezza di vedute, delle pagine ancora da scrivere, del pensiero da formare domina nella maggior parte delle collane della Einaudi e si incontra come intenti e veste grafica con il classicismo della Gallimard nella maestosa Biblioteca della Pléiade.
E come non riconoscere il blu denso dei volumetti della Sellerio, quel blu di notte e tessuto, caldo e morbido, che si lascia consumare e infilare in tasche e borse, senza mai perdere di valore e consistenza? Nella scelta delle copertine con un’immagine ridotta al minimo, l’occhio artistico del fotografo e cofondatore Enzo Sellerio si unisce alla volontà di Elvira Giorgianni di fare del libro “un diritto per tutti”.
Sono questi esempi non esaustivi ovviamente delle riflessioni mattutine, si potrebbero portare decine di esempi di splendida grafica editoriale, di immaginifiche o semplicissime copertine che mi hanno colpita nella mia lunga carriera di lettrice vorace. Ma aspetto suggerimenti e proposte da chi leggerà queste righe: intanto propongo, quando sarete in vena di deliziarvi con il solo “abito”, una promenade tra le copertine proposte nel Book Cover Archive.