E quante cose succedono, in Il cane giallo, una delle otto inchieste del commissario Maigret che Georges Simenon sforna nel 1931, con straordinaria e invidiabilissima facilità di penna.
Ne succedono di cose, ma poi quello che rimane non è il delitto (i delitti), non è la soluzione dell'intrigo. Piuttosto è lo straordinario ritratto dei notabili di provincia, quelli che si ritrovano ogni giorno a un tavolo dell'Hotel de Amiral per bere qualcosa, giocare a carte, tirare le fila di qualche affaruccio. Piuttosto è il volto segnato dalla fatiche e dalle mortificazioni di quella cameriera, sarà un caso che si chiama Emma? Piuttosto è il fare e il non fare di questo commissario indolente e burbero, più a suo agio con un bicchiere di pernod che in una conversazione con il sindaco, investigatore dichiaratamente privo di un metodo di indagine.
E piuttosto è il vento, il vento di Concarneau, il vento che gonfia le vele e i soprabiti dei buoni borghesi.