Un tema ricorrente nella letteratura e nel teatro greco è la morte dei
figli per colpe commesse dai padri. Un meccanismo noto come colpa tragiaca. Ebbene, questo che sembra essere un precedente squisitamente letterario, con implicazioni legate al mondo culturale, si sta trasformando in un preoccupante fenomeno di cronaca e violenza. Negli ultimi tempi sono aumentati a dismisura i casi di genitori che commettono violenza sui propri figli. Nel termin “ violenza” rientrano diverse azioni che hanno a che fare con la prevaricazione: lesioni, abusi, maltrattamenti, umiliazioni.Come si spiega la tendenza infanticida, così chiamata dagli psicologi, da parte dei genitori? Quali le sue origini? Perché sono le madri ad essere maggiormente responsabili di atti così atroci? Fino a che punto si possono considerare isolate queste morti? La risposta più immediata, e a dire il vero semplicistica, è che non esiste risposta. Tutto avviene in preda a momenti di follia e incoscienza. Se così fosse, non troverebbe spiegazione la brutalità con la quale vengono compiuti questi atti. Una brutalità che si potrebbe definire “razionale” e quindi premeditata, progettata dai carnefici. A ben vedere però neanche questa spiegazione soddisfa molto. Manca in sostanza il movente, come si dice in gergo poliziesco, cioè la molla che spinge a commettere la violenza. Esiste , comunque. un’ origine interiore del fenomeno che è utile ricondurre sotto l’ etichetta ( a fini semplicemente divulgativi) di complesso, e quindi di un insieme di istinti non risolti, repressi. Il complesso in questione è quello di Medea, il prototipo dell’ infanticida. Medea è il ritratto di una donna sola, emarginata, ripudiata dal marito e, quindi, dal sistema di valori ammesso e tollerato dalla società esistente. Medea è l’ effigie della diversità ghettizzata, sulla quale incidono l’ essere donna e l’ incapacità di essere madre. All’ interno della società non ha più nessun ruolo. Anche quello di madre le è stata tolto. L’uccisione dei suoi figli è una vendetta ma anche un atto di sfida. Al sistema sociale, all’ autorità maschile, ai pregiudizi. È un voler affermare un nuovo codice di comportamento radicale e rivoluzionario, nel quale è lecito fare di tutto: persino uccidere i propri figli. Le madri di oggi , al contrario di Medea, sono parte integrante di un ampia stratificazione socio-economica. Lavoratrici, manager, donne in carriera costituiscono l’orizzonte variegato del mondo operativo femminile. Questa nuova realtàha prodotto, come sappiamo, una netta rottura degli equilibri tradizionali: da angelo del focolare si è passati ad una donna proiettata totalmente alla conquista dell’ avvenire. Ma avvenire significa sostanzialmente duecose: competizione e produttività. Aspetti certo significativi, ma esasperati e controproducenti. Orari di lavoro sballati, riduzione del tempo familiare, allontanamento dai figli. Tutto viene sacrificato sull’altare del benessere. Succede però che le madri non si accorgono che i loro figli crescono nel rancore e nella marginalità. Sempre meno tempo per l ‘affetto e il dialogo. e quindi scontro, litigi, incomprensioni. E quando un figlio chiede attenzioni, gli sono negate perché non compatibili con la stanchezza e lo stress. Il passo verso la violenza diventa l’unica, disperata soluzione. Per questo è opportuno chiedersi quanto la società sia responsabile nell’ influire su queste reazioni. Nella determinazione di criteri selettivi talmente esasperati da costringere a chiudere gli occhi su tutto, anche su coloro che costituiscono il senso di tutto per una madre.
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