Dohodli jsme se, že se dohodneme, Siamo d'accordo che andremo d'accordo. Con questo aforisma, dal sapore andreottiano, il leader del Partito Popolare Jan Šrámek nel dicembre del 1925 assicura l'imminente formazione di un nuovo governo della giovane Repubblica Cecoslovacca. Un esecutivo anch'esso dal sapore andreottiano perché guidato dal politico di maggior fama e scaltrezza, il leader del Partito Agrario Antonín Švehla, e sostenuto dalla Pětka, una sorta di pentapartito che già da cinque anni è al potere, e da un sesto partito alleato appena trovato per strada.
Una atmosfera simile al "siamo d'accordo che andremo d'accordo" la ritroviamo ad ottobre dell'anno successivo, sempre a Praga ma in una situazione decisamente diversa. La Grande Guerra, che ha visto austro-ungarici da una parte e italiani dall'altra, è terminata da meno di otto anni. Céki e slovacchi, che dal conflitto hanno guadagnato l'indipendenza, stanno conducendo sul loro territorio una specie di crociata contro tutto ciò che è ungherese. Non mancano neanche i dissidi di natura sportiva: sono, infatti, passati poco meno di tre mesi dall'entrata in vigore della Carta di Viareggio che, tra le altre cose, ha vietato ai club italiani il tesseramento di nuovi stranieri e ha obbligato gli stessi a disfarsi in soli due anni di quelli già arrivati, ungheresi e austriaci compresi.
Eppure i rappresentanti di F.I.G.C., Magyar Labdarúgó Szövetség, Österreichischer Fußball-Bund e Československý fotbalový svaz sono seduti intorno allo stesso tavolo per parlare di calcio. Paradossalmente le ragioni per farlo le hanno soprattutto austriaci e ungheresi, che per un bel pezzo sono stati esclusi da tutto, Olimpiadi del 1920 comprese, e soffrono ancora le conseguenze dell'isolazionismo internazionale postbellico. E chi potrebbe offrir loro una sponda meglio di italiani e cecoslovacchi che stanno sperimentando quanto il calcio possa essere un mezzo politicamente efficace? Non è un caso se Edvard Beneš, ministro degli Esteri della Cecoslovacchia sin dal 1918, è solito dichiarare che i suoi migliori ambasciatori sono lo Slavia e lo Sparta Praga. E non è un caso nemmeno se a pochi mesi dall'incontro praghese, nell'aprile 1927 il ministro degli Esteri italiano, Dino Grandi, firmerà il patto di amicizia e di cooperazione italo-ungherese.
Ma, al di là delle opportunità diplomatiche che il Congresso calcistico di Praga offre, il progetto che le federazioni coinvolte hanno in mente è un qualcosa che al di qua della Manica non si è ancora mai visto, è un progetto troppo importante per non invitare a chiudere gli occhi su qualsiasi divergenza e a richiamarsi alla comune radice danubiana, al modo simile in cui si gioca e si pensa il calcio, che per la verità in Italia è stato importato da quei tecnici e quegli allenatori appena messi all'indice.
Così il 26 ottobre 1926 si gettano le basi per due competizioni, una riservata alle squadre nazionali e una alle squadre di club. Ed ecco ricomparire anche Antonín Švehla, perché il trofeo per la prima manifestazione (una coppa dal valore di ventimila corone ceco-slovacche, riporta La Stampa) viene direttamente offerto dal Primo Ministro della nazione che sta ospitando la conferenza. Nasce così la Švehla Pokal, in Italia meglio nota come Coppa d'Europa o Coppa Internazionale.
Vista la geografia delle squadre coinvolte il nome scelto per la seconda manifestazione è, invece, Der Cup von Mitteleuropa, Coppa dell'Europa Centrale, poi più comunemente contratto in Coppa Mitropa.
Per i dettagli bisogna attendere il Congresso calcistico di Venezia dell'anno successivo. Alla Švehla Pokal aderiscono le quattro federazioni ideatrici e la Svizzera. La formula prevista è un girone all'italiana con partite di andata e ritorno; la coppa andrà in modo definitivo alla squadra che per prima si aggiudicherà due edizioni. Alla Mitropa aderiscono, invece, le federazioni di Austria, Ungheria, Cecoslovacchia e Regno di Jugoslavia. I club italiani parteciperanno dal 1929.
Le due coppe gemelle seguiranno una parabola simile fino al momento in cui la UEFA, nel 1960, non riuscirà ad organizzare il primo Campionato Europeo per Nazioni. Poi a difendere l'idea della vecchia scuola danubiana rimarrà la sola Mitropa Cup che riuscirà a cambiare faccia e ad attraversare momenti storici diversi, prima di venire definitivamente abbandonata agli inizi degli anni Novanta.
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[1] cfr. D. Miller, Forging Political Compromise: Antonin Svehla and the Czechoslovak Republican Party, 1918-1933; pag. 145
[2] cfr. Antonio Papa e Guido Panico, Storia sociale del calcio in Italia, Capitolo 10
[3] La Stampa (27/10/1926) nell'articolo che si riferisce alla Conferenza annuncia che "i dissidi sorti tra Italia da una parte e Austria e Ungheria dall'altra sono superati" senza però specificarne la natura