Una delle questioni più dibattute negli ultimi anni è la doppia morale sulla libertà politica del giornalista nella stampa italiana. E questo perché ormai i giornalisti vengono visti e letti o come «berlusconiani» oppure come «antiberlusconiani». Un concetto dicotomico che non ha grande senso, visto che all’una e all’altra categoria vengono ricollegate ridicole presunzioni legali di asservimento e prezzo.
Il giornalista berlusconiano, infatti, è considerato il «prezzolato» per eccellenza. Il ragionamento è semplice. Siccome lavora – solitamente – per un organo di informazione della proprietà della famiglia Berlusconi, si presume (presunzione assoluta: non è ammessa la prova contraria) che quando scrive qualcosa a favore del Cavaliere obbedisce a qualche ordine impartito dall’alto. Il giornalista di tal fatta, dunque, non ha un proprio orgoglio professionale, non ragiona con la propria testa, e non è libero nelle proprie opinioni. È un servo, prezzolato, ma sempre un servo. Mai che qualcuno si sia posto il dubbio che magari crede in quello che fa e che lo fa liberamente.
Il giornalista antiberlusconiano è l’opposto. È il giornalista libero per eccellenza. Il professionista puro che scrive solo quello che gli detta il suo cuore e il suo senso di onestà. Non può essere considerato dipendente di alcuno (anche se poi lo stipendio glielo paga De Benedetti o la Marcegaglia), e men che meno un servo al servizio di qualche padrone (politico o imprenditoriale). Ragiona con la sua testa, non si lascia fregare ed è un autentico esponente della libera società civile. Ovviamente, anche in questo caso si tratta di una presunzione per la quale non è ammessa prova contraria.
Eppure, sappiamo, che la dicotomia è falsa come una moneta di cioccolato. Fosse solo che in Italia abbiamo quattro grosse proprietà editoriali: RCS-Rizzoli (Il Corriere della Sera, ma l’elenco proprietario è lungo), Fininvest-Berlusconi (Mediaset, IlGiornale, Panorama, Mondadori), CIR-De Bendetti (Repubblica, Espresso e molte altre testate locali e riviste a tiratura nazionale, più tv digitale) e Confindustria (Il Sole 24 Group). Alle quali si uniscono poi Fiat (La Stampa) e Telecom (La7). Per cui, la stragrande maggioranza dei giornalisti che fanno tendenza d’opinione, tra editorialisti, commentatori, e giornalisti di cronaca, sono alle dipendenze dell’uno o dell’altro gruppo. Ai quali è da aggiungere anche l’editore pubblico televisivo: la Rai, che più o meno risponde al potere politico secondo una logica di lottizzazione avviata negli anni ‘70 e oggi ancora pienamente operativa con una predominanza dell’influenza della sinistra sui programmi di informazione e di approfondimento culturale e politico.
Insomma, stabilire chi – nel mondo del giornalismo nostrano – è «prezzolato» e chi non (a patto di sapere esattamente che cosa si intende per prezzolato), è un’impresa ardua se non impossibile. Ogni gruppo editoriale, chi più chi meno, persegue le proprie logiche politiche, ha le proprie simpatie politiche e sostiene le proprie ragioni politiche, solitamente legate al proprio settore di interesse economico. E certamente, ancorare il prezzolamento all’essere o meno antiberlusconiani, è una visione talmente semplicistica, talmente propagandistica, che persino un bambino di cinque anni lo capirebbe se solo qualcuno glielo spiegasse con le dovute parole. Senza contare che l’ordine dei giornalisti italiano è piuttosto potente, da poter reggere il confronto con qualsiasi editore, seppure non sempre si è mostrato politicamente equilibrato.
D’altro canto, va da sé che un Paolo Berlusconi (Il Giornale) o un De Benedetti (Repubblica) non assumerebbero mai rispettivamente un Ezio Mauro oppure un Vittorio Feltri per le proprie testate. Il motivo è semplice: orientamenti politici opposti all’editore. Ed è pertanto naturale che ogni testata che ha un orientamento politico ben definito cerca i professionisti di riferimento di quell’area e non quelli dell’area opposta. Perciò, se è impossibile trovare un berlusconiano su Repubblica, è altrettanto impossibile trovare un antiberlusconiano su Il Giornale. E se questo è vero (e lo è), su quale strampalata logica si basa l’idea che su Repubblica lavorano (solo) giornalisti liberi e non prezzolati e su Il Giornale giornalisti prezzolati?
La risposta mi pare piuttosto semplice: una logica banalmente asservita alla propaganda in favore della sinistra. Una logica che vuole contrabbandare la sinistra e la sua informazione come l’unica vera informazione libera e autodeterminata, tacciando il dissenso come fascista o nel caso nostro, volgarmente berlusconiano. Eppure, se solo si guardasse all’esperienza passata e alla filosofia delle ideologia comunista (radice culturale dell’attuale sinistra italiana), si dovrebbe capire che il concetto di egemonia e di controllo sociale è un concetto prettamente di sinistra. Fu del resto Gramsci a coniarlo, nel suo Quaderni del Carcere:
La supremazia di un gruppo sociale si manifesta in due modi, come dominio e come direzione intellettuale e morale. Un gruppo sociale è dominante dei gruppi avversari che tende a liquidare o a sottomettere anche con la forza armata, ed è dirigente dei gruppi affini e alleati. Un gruppo sociale può e anzi deve essere dirigente già prima di conquistare il potere governativo (è questa una delle condizioni principali per la stessa conquista del potere); dopo, quando esercita il potere ed anche se lo tiene fortemente in pugno, diventa dominante ma deve continuare ad essere anche dirigente
Il concetto esprime un auspicio di Gramsci, affinché si attui nella società (in vista della rivoluzione) una guerra di posizione, intesa come conquista dell’egemonia culturale che leghi al proletariato la classe degli intellettuali tradizionali, per rendere gli stessi intellettuali organici alla causa comunista, e facendo di questi i propri dirigenti politici. Più chiaro di così!
di Martino © 2011 Il Jester