Il premio Nobel per la Pace 2012 è stato assegnato. A vincerlo l’Europa, che, a quanto detto dal comitato di Oslo, si è impegnata “per aver contribuito alla riconciliazione e alla difesa dei diritti umani e della democrazia negli ultimi 60 anni”.
Ma non è la stessa Europa che nel corso degli anni ha alimentato diversi conflitti? Ma non è la stessa Europa che ha finanziato le guerre in Afghanistan e in Iraq? Ma non è la stessa Europa che ha gestito la guerra in Libia? Ma non è la stessa Europa che ha favorito le guerre della finanza in Grecia e in Spagna?
Si, è la stessa. Ed è pure evidente. Ma assegnare così il premio significa capovolgere il concetto di pace. Su un numero vecchio de il Mensile, periodico di Emergency, Cecilia Strada scriveva in prima pagina: “La pace necessariamente «ripudia» la guerra, ma non consiste esclusivamente in questo ripudio. Ha senso compiuto in sé stessa. È pace promuovere ed esigere giustizia e uguaglianza. È pace riconoscere a tutti gli esseri umani l’accesso ai beni che rendono possibile l’esistenza. Rispettare e non violentare l’ambiente nel quale tutti viviamo e altri vivranno dopo di noi. Accettare e apprezzare le diversità è pace. È pace superare il concetto di «straniero»”. Buona parte di quello che all’Europa odierna manca.
Ma a proposito di concetti, tempo fa, Gino Strada raccontava una favola per spiegare ai bambini il significato di parole come “diritti”, “pace”, “uguaglianza”. Vorrei condividerla con voi. Buona lettura.
“C’era una volta un pianeta chiamato Terra. Si chiamava Terra anche se, a dire il ero, c’era più acqua che terra su quel pianeta.
Gli abitanti della Terra, infatti, usavano le parole in modo un po’ bislacco.Prendete le automobili, per esempio. Quel coso rotondo che si usa per guidare, loro lo chiamavano “volante”, anche se le macchine non volano affatto! Non sarebbe più logico chiamarlo “guidante”, oppure “girante” , visto che serve per girare?
Anche sulle cose importanti si faceva spesso molta confusione. Si parlava spesso di “diritti”: il diritto all’istruzione per esempio significava che tutti i bambini avrebbero potuto (e dovuto!) andare a scuola.
Il diritto alla salute poi, avrebbe dovuto significare che chiunque, ferito, oppure malato, doveva avere la possibilità di andare in ospedale.
Ma per chi viveva in un paese senza scuole , oppure a causa della guerra non poteva uscire di casa, oppure chi non aveva i soldi per pagare l’ospedale ( e questo, nei paesi poveri, è più la regola che l’eccezione ) , questi diritti erano in realtà dei rovesci : non valevano un fico secco.
Siccome non valevano per tutti ma solo per chi se li poteva permettere , queste cose non erano diritti : erano diventati privilegi, e cioè vantaggi particolari riservati a pochi…
A volte, addirittura , i potenti della terra chiamavano “operazione di pace” quella che , in realtà, era un’operazione di guerra: dicevano proprio il contrario di quello che in realtà intendevano.
E poi, sulla Terra, non c’era più accordo fra gli uomini sui significati : per alcuni ricchezza significava avere diecimila miliardi, per altri voleva dire avere almeno una patata da mangiare.
Quanta confusione! Tanta confusione che un giorno il Mago Linguaggio non ne potè più.
Linguaggio era un mago potentissimo, che tanto tempo prima aveva inventato le parole e le aveva regalate agli uomini.
All’inizio c’era stata un po’ di confusione perché gli uomini non sapevano come usarle, e se uno diceva carciofo, l’altro pensare al canguro, e se uno diceva spaghetti l’altro intendeva gorilla, e al ristorante non ci si capiva mai.
Allora il mago Linguaggio appiccicò ad ogni parola un significato preciso, cosicché le parole volessero dire sempre la stessa cosa, e per tutti.
Da allora il carciofo è sempre stato un ortaggio e il gorilla un animale peloso, e non c’era più il rischio di trovarsi per sbaglio nel piatto un grosso animale peloso, con il suo testone coperto da sugo di pomodoro.
Questo lavoro , di dare alle parole un significato preciso, era costato al mago Linguaggio un bel po’ di fatica.
Adesso, vedendo che gli uomini se ne infischiavano del suo lavoro, e continuavano ad usarle a capocchia, decise di dare loro una lezione.
“Le parole sono importanti – amava dire -, se si cambiano le parole si cambia anche il mondo, e poi non ci si capisce più niente .”.
Una notte, dunque, si mise a scombinare un po’ le cose, spostando una sillaba qui, una là, mescolando vocali e consonanti, anagrammando i nomi. Alla mattina, infatti, non ci si capiva più niente.
A tutti gli alberghi di una grande città aveva rubato la lettera gi e la lettera acca, ed erano diventati…alberi! Decine e decine di enormi alberi, con sopra letti e comodini e frigobar, e i clienti stupitissimi che per scendere dovevano usare le liane come Tartan.
Alle macchine aveva rubato una enne, facendole diventare macchie, e chi cercava la propria automobile trovava soltanto una grossa chiazza colorata parcheggiata in strada.
Alle torte, invece, aveva aggiunto una esse, ed erano diventate tutte … storte, e cadevano per terra prima che i bambini se le potessero mangiare. Erano talmente storte che non erano più buone nemmeno per essere tirate in faccia.
Nelle scuole si era divertito ad anagrammare, al momento dell’appello, la parola presente, e se prima gli alunni erano tutti presenti, ora erano tutti assenti, e le maestre scappavano via terrorizzate.
Poi si era tolto uno sfizio personale : aveva eliminato del tutto la parola guerra, che aveva inventato per sbaglio, e non gli era piaciuta.
Così un grande capo della terra, che in quel momento stava per dichiarare guerra, dovette interrompersi a metà della frase, e non se ne fece nulla.
Inoltre aveva trasformato i cannoni in cannoli, siciliani naturalmente, e chi stava combattendo si ritrovò tutto coperto di ricotta e canditi.
Andò avanti così per alcuni giorni, con le scarpe che diventavano carpe e nuotavano via, i mattoni che diventano gattoni e le case si mettevano a miagolare, il pane che si trasformava in un cane e morsicava chi lo voleva mangiare.
Quanta confusione! Troppa confusione e gli uomini non ne potevano più.
Mandarono quindi una loro delegazione,
a chiedere che rimettesse a posto le parole, e con loro il mondo.
“E va bene – disse Linguaggio – ma solo ad una condizione : che cominciate ad usare le parole con il loro giusto significato.