Il teatro Dehon di Bologna inserisce nel suo cartellone “Il conte di Lussemburgo” di Franz Lehár, operetta che, fulgido esempio di una forma d’arte forse oggi un po’ lontana dai gusti del grande pubblico, non ha mancato di allietare tutti gli intervenuti alla piacevole serata. La vicenda, recitata con grande maestria ed intensità dalla Compagnia Stabile di Operette Alfafolies di Torino, si svolge nella Parigi di inizio ‘900, dove un’allegra e composita brigata formata da giovani squattrinati di Montmartre festeggia il Carnevale. Tra gli altri ci sono René, il Conte di Lussemburgo, un nobile spiantato e il suo amico Armand Brissard, un pittore dal talento incerto, eternamente senza soldi. In questo clima, dove regna la voglia di divertirsi, ma il denaro scarseggia, René riceve un’allettante proposta da un aristocratico russo, il Principe Basilio Basilowitsch, che è innamorato della bella Angela Didier, cantante dell’Opéra, ma non la può sposare per l’insormontabile differenza di condizione sociale. Basilio offre dunque al Conte di Lussemburgo 500.000 franchi, affinché si unisca in matrimonio con la ragazza per conferirle il titolo di Contessa e divorziare tre mesi dopo. Ovviamente, il matrimonio non sarà consumato e i due giovani non dovranno né conoscersi né vedersi. René accetta. Durante la cerimonia, pur non potendosi vedere, allo scambio degli anelli le loro mani si toccano e ciò basta a far nascere un confuso sentimento d’attrazione.
René comunque tiene fede al patto, si disinteressa della donna e vive giorni di sfrenata allegria. Proprio in queste sue notti libertine, senza sospettare che si tratti di sua moglie, vede Angela sulla scena, se ne innamora e, con l’intenzione di corteggiarla, interviene, grazie ai favori di Juliette, eterna fidanzata di Armand, alla festa che la cantante ha offerto per il suo addio al teatro. Il tocco di un guanto di Angela ricorda a René il fugace contatto avuto durante la cerimonia nuziale. I due si riconoscono, si amano e decidono di restare marito e moglie, complice anche l’arrivo di una vecchia fiamma del Principe Basilio, la Contessa Stasa Kokozow. Un clima festaiolo e accattivante si crea fin dai primi istanti quando i protagonisti dello spettacolo, in abiti carnascialeschi, irrompono in platea con la loro allegria coinvolgendo gli straniti spettatori in balli e lazzi, e poi prosegue lungo i due atti in cui le parti recitate si alternano con la danza e le tante arie che fanno più opera che prosa. La storia si dipana secondo gli schemi classici del genere tra inverosimili situazioni ed imprevedibili, ma non troppo, colpi di scena fino ad un finale che fa tanto happy end favolistico.
Gli applausi a scena aperta frequenti e convinti sottolineano il sicuro gradimento del pubblico, in verità non numerosissimo, ma certo caldo ed appassionato. Davvero bravi gli attori, diretti, ricordiamolo, da Augusto Grilli, sia nelle parti recitate, che, soprattutto, in quelle cantate, che riescono a tenere sempre viva l’attenzione e l’attesa di tutti i presenti, che si divertono e sorridono. Per me, alla prima esperienza con un’operetta, indubbiamente un bel battesimo! Confesso che ho fatto un po’ fatica, come per l’opera, a seguire le parti cantate, ma alla fine sono rimasto soddisfatto da questo modo di far vivere storie dall’antico sapore, quello della Belle Époque che così importanti e durature tracce ha lasciato in tutte le arti umane. Particolarmente intenso e struggente è stato il saluto, a fine recita, del “principe Basilio” che ha ringraziato il pubblico per la sua calda partecipazione, un pubblico che ancora permette la sopravvivenza di questo genere “originale”, ma povero, che si pone come scopo quello di regalare una risata cercando di far “dimenticare” per un fugace attimo i tanti problemi del vivere quotidiano.