La paura dell’ignoto, del nuovo, di tutto ciò che sfugge alla consapevolezza e al controllo; la paura della diversità, della precarietà, dell’instabilità. Si teme tutto ciò che non si conosce o che non si può gestire adeguatamente e non meraviglia che tra le paure più diffuse ci sia anche quella del futuro. Un futuro dai tratti inevitabilmente incerti, dove aleggia lo spettro della crisi, dove la precarietà e lo stato di perenne allarmismo hanno tolto poesia ai sogni e colore alle emozioni, dove progettare diventa altamente rischioso e a volte terribilmente scoraggiante. E la paura invade il campo degli affetti, quando anche sull’amore aleggia il profondo timore di perdere la persona cara perché si è abituati a vincere l’insicurezza e la fragilità con la forza e la stabilità affettiva ed i sentimenti diventano l’unico antidoto contro la triste percezione di un quotidiano provvisorio ed evanescente.
Un’emozione spesso demonizzata, quella della paura: “L’unica cosa di cui aver paura è la paura”, affermava F.D. Roosevelt, eppure esiste una paura vitale e positiva dall’enorme valore euristico che ha ricoperto nel tempo un’essenziale funzione biologica ed adattiva. La paura ha sempre permesso di affrontare e rifuggire le situazioni di pericolo attivando tutti i meccanismi fisiologici e comportamentali necessari a garantire la sopravvivenza della specie. Parliamo della paura necessaria ed utile, quell’emozione che diventa il propulsore del coraggio perché permette di superare i propri limiti, di tirar fuori tutto ciò che di meglio la nostra personalità custodisce. E così ci si trova a combattere, a fronteggiare il pericolo, a scoprire quella forza interiore e quella determinazione che spesso neanche pensavamo di possedere: una paura che svela, situazioni estreme che ci permettono di scoprire un coraggio che la tranquillità quotidiana nascondeva sotto un’apparente mediocrità. E’ il coraggio che nasce dalla disperazione, dalla consapevolezza che nulla si ha più da perdere: quando vieni privato di tutto, quando ti viene sottratta anche la dignità, non ha più alcun senso aver paura.
Naturalmente esiste anche la paura paralizzante, quell’emozione che inibisce, che ti porta alla chiusura, all’incapacità di reagire positivamente, quella paura che diventa un limite alla crescita personale e che nei casi peggiori si tramuta in fobia o panico perdendo la sua funzione euristica e trasformandosi in sintomo. Capita altresì che si attribuisca la paura all’ambiente esterno e non al vissuto interiore e così essa sfocia nella violenza: si distrugge ciò che si identifica come causa del proprio malessere e la violenza, è risaputo, nasce spesso dall’insicurezza e dal timore. Ed esiste inoltre la reazione di totale negazione della paura che, in numerosi casi sfocia nell’eroismo: incapacità di avvertire il pericolo e valutarne la portata, desiderio di mettersi alla prova in modo estremo, sensazione di onnipotenza.
Un’emozione dai numerosi volti, dunque, e dalle tante gradazioni; la paura va valorizzata nella sua funzione costruttiva, combattuta e superata nei suoi aspetti limitanti o patologici. Ma esiste una forma diversa di paura dagli effetti davvero preoccupanti: quella che non è più scatenata dalla percezione di un reale pericolo, bensì dal timore che si possano verificare situazioni, a volte anche molto normali, ma che vengono vissute dalla persona con molto disagio e con una risonanza eccessiva. Parliamo dell’ansia, una paura apparentemente senza oggetto reale ma che colpisce in modo subdolo e sotterraneo. Viviamo in un contesto storico sociale che vede nell’allarmismo e nella definizione di scenari apocalittici alcuni degli elementi caratterizzanti. Un clima di perenne disagio ed inquietudine che aumenta la percezione di pericoli a volte inesistenti, talvolta creati ad arte per poter gestire e manipolare menti turbate ed intimorite. Si può combattere ciò che si conosce, si può vincere una paura nel momento in cui la si identifica, ma contro l’ignoto si è totalmente disarmati ed inermi e così l’ansia priva la paura della sua funzione primaria.
“La guerra moderna alle paure umane, sia essa rivolta contro i disastri di origine naturale o artificiale, sembra avere come esito la redistribuzione sociale delle paure, anziché la loro riduzione quantitativa”. Queste parole di Z. Bauman sottolineano che la paura non può essere eliminata ma deve essere convertita in energia, diventare alimento del coraggio e motore del cambiamento.