Il Manzoni sosteneva che “il coraggio uno non se lo può dare”. In sostanza, o ce l’hai o ti manca. È proprio così? Esistono forse uomini (la minoranza) dotati di coraggio, audacia e fortezza, e altri (la maggioranza) che ne sono privi? O non è, piuttosto, che tutti siamo potenzialmente coraggiosi, solo che nel momento del bisogno ce ne dimentichiamo perché nell’attimo fuggente subentra un freno inibitore, cioè l’istinto di conservazione? Cominciamo a chiarire cosa sia il coraggio, parola che deriva dal termine latino coraticum. Ebbene, coraticumsignifica “avere cuore”. È un concetto inequivocabile: il coraggio è la virtù che ci permette di affrontare pericoli e rischi buttando il cuore oltre l’ostacolo. Esercitare il coraggio fisico o morale vuol dire avere un cuore grande, nobile, intrepido. Fin qui, nulla da eccepire. Ma è da tutti possedere questa prerogativa? In definitiva, cosa spinge un essere umano all’azione coraggiosa e inibisce la stessa azione in molti altri? Ricordo che ai tempi del liceo, il mio professore di filosofia amava ripetere, modificandolo, un vecchio proverbio che dice “tanta pazienza, forza e coraggio che la vita è un oltraggio”. Aveva l’abitudine di saltare sui banchi e apostrofava l’allievo distratto o secondo lui molle con l’invito-monito: “Forza e coraggio che la vita è un passaggio!”. Amava Platone e ovviamente non si stancava di ricordare alla classe che la fortezza, come sosteneva il filosofo ateniese, è una delle quattro virtù cardinali. Ecco, di quel suo vezzo degno di un istrione, apprezzavo la sfumatura filosofica. Per il mio professore, la vita non era un oltraggio ma semplicemente un passaggio e in quanto tale stimava valesse la pena affrontarla senza paura e indecisioni. Vale a dire, coraggiosamente. Mi sembra di avere centrato il focus. Il coraggio appartiene a tutti gli esseri senzienti, l’uso che se ne fa dipende dalla propria visione esistenziale e dalla capacità che ciascuno ha di tacitare la mente e gli istinti conservativi per dare voce al cuore. Tutti abbiamo coraggio in pectore, ma pochi hanno il coraggio di avere coraggio. A questo punto, qualcuno si chiederà la ragione di questa mia riflessione apparentemente fine a se stessa. La ragione è istruita da un fatto di cronaca personale, anche se indiretto. Mia figlia e il suo promesso sposo hanno deciso di non rinunciare al loro coraggio per quanto avessero buoni motivi per farlo. Sette mesi fa, mentre viaggiavano in sella a una moto diretti in Mongolia, hanno avuto un terribile incidente stradale in Siberia da cui sono usciti rotti ma vivi. Molti avrebbero tratto da quella drammatica esperienza un insegnamento preciso: cammina dove l’acqua è bassa. Loro no, hanno superato i problemi fisici, hanno rimarginato le ferite morali e si sono concentrati sulla resurrezione. Sono risorti, di fatto, rendendosi conto che tutto passa e, soprattutto, che non hanno perso il coraggio di avere coraggio. Fra poco, prenderanno nuovamente confidenza con il viaggio “beyond the road” esercitandosi nel deserto del Marocco e questa estate affronteranno un viaggio avventuroso in America, dal Cile fino alla Florida, percorrendo le ardite carrozzabili andine, le carretere del centro-america e messicane per poi godersi i grandi orizzonti sulle vaste strade statunitensi. Che coraggio ci vuole? – si chiederà qualcuno. Basta avere il tempo e il denaro per farlo. Non è così. Ci vuole fegato, soprattutto se sei caduto e hai trovato la forza di non arrenderti nonostante le cicatrici e ritornare in piedi, anzi in sella. Apprezzo la loro capacità di vincere la paura che li accompagnerà come un’ombra shakespeariana lungo la via. Perché di una cosa sono certo, e parlo per esperienza personale. Chi dice “non ho paura”, mente. L’uomo coraggioso non è colui che non conosce la paura, è chi sa dominarla. Il coraggio è fatto di paura, diceva Oriana Fallaci. Quando mi chiesero se in Afghanistan, dove ogni giorno alzavo l’asticella del mio coraggio e correvo rischi sempre più sottili, avevo paura, risposi “Sì, certo.” A fare la differenza fu la capacità di considerare la vita un passaggio. Mentre attraversi questo meraviglioso ponte che unisce il giorno della nascita a quello della morte, non devi pensare che puoi cadere nel vuoto. Devi concentrarti sui tuoi passi, su ciò che ti aspetta, sui panorama spettacolari, le conoscenze e le emozioni che avrai in premio, a patto di avere coraggio, camminando a fronte alta, con passo commisurato alle proprie attitudini ma comunque fermo. A che serve avere paura? A rallentarti, a privarti di esperienze che nel bene e nel male ti arricchiscono, favorendo la crescita animica. Avere paura è la cosa più stupida del mondo e la paura è l’unica cosa di cui un uomo dovrebbe avere paura. Un po’ invidio mia figlia e il suo promesso sposo, che al termine del loro nuovo viaggio “beyond the road” si uniranno in matrimonio. La metto sul ridere, oggi ci vuole coraggio anche a sposarsi… Spero di non avere offeso la sensibilità di chi ha una visione del coraggio più intima o più epica. Lo so che ci vuole coraggio anche a tirare avanti quando la propria vita sa di merda, che spesso questo coraggio manca e viene la tentazione di arrendersi. Oppure che il vero coraggio è la dimensione in cui gravitano gli eroi, piccoli o grandi che siano. La verità è che ci sono mille modi per essere impavidi, intrepidi, audaci, e li apprezzo tutti, senza distinzioni. E tutti, a ben vedere, rivelano un comune denominatore, il coraticum. C’è una frase, nel film Bravehaert, che mi è rimasta impressa. Malcom Wallace dice: “Il tuo cuore è libero, abbi il coraggio di seguirlo”. È la chiave di lettura giusta. Il coraggio di avere coraggio si nutre seguendo il proprio cuore, non la mente o l’opinione comune. Ma il cuore, necessariamente, deve essere libero e capace di alimentare i sogni.
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Il Manzoni sosteneva che “il coraggio uno non se lo può dare”. In sostanza, o ce l’hai o ti manca. È proprio così? Esistono forse uomini (la minoranza) dotati di coraggio, audacia e fortezza, e altri (la maggioranza) che ne sono privi? O non è, piuttosto, che tutti siamo potenzialmente coraggiosi, solo che nel momento del bisogno ce ne dimentichiamo perché nell’attimo fuggente subentra un freno inibitore, cioè l’istinto di conservazione? Cominciamo a chiarire cosa sia il coraggio, parola che deriva dal termine latino coraticum. Ebbene, coraticumsignifica “avere cuore”. È un concetto inequivocabile: il coraggio è la virtù che ci permette di affrontare pericoli e rischi buttando il cuore oltre l’ostacolo. Esercitare il coraggio fisico o morale vuol dire avere un cuore grande, nobile, intrepido. Fin qui, nulla da eccepire. Ma è da tutti possedere questa prerogativa? In definitiva, cosa spinge un essere umano all’azione coraggiosa e inibisce la stessa azione in molti altri? Ricordo che ai tempi del liceo, il mio professore di filosofia amava ripetere, modificandolo, un vecchio proverbio che dice “tanta pazienza, forza e coraggio che la vita è un oltraggio”. Aveva l’abitudine di saltare sui banchi e apostrofava l’allievo distratto o secondo lui molle con l’invito-monito: “Forza e coraggio che la vita è un passaggio!”. Amava Platone e ovviamente non si stancava di ricordare alla classe che la fortezza, come sosteneva il filosofo ateniese, è una delle quattro virtù cardinali. Ecco, di quel suo vezzo degno di un istrione, apprezzavo la sfumatura filosofica. Per il mio professore, la vita non era un oltraggio ma semplicemente un passaggio e in quanto tale stimava valesse la pena affrontarla senza paura e indecisioni. Vale a dire, coraggiosamente. Mi sembra di avere centrato il focus. Il coraggio appartiene a tutti gli esseri senzienti, l’uso che se ne fa dipende dalla propria visione esistenziale e dalla capacità che ciascuno ha di tacitare la mente e gli istinti conservativi per dare voce al cuore. Tutti abbiamo coraggio in pectore, ma pochi hanno il coraggio di avere coraggio. A questo punto, qualcuno si chiederà la ragione di questa mia riflessione apparentemente fine a se stessa. La ragione è istruita da un fatto di cronaca personale, anche se indiretto. Mia figlia e il suo promesso sposo hanno deciso di non rinunciare al loro coraggio per quanto avessero buoni motivi per farlo. Sette mesi fa, mentre viaggiavano in sella a una moto diretti in Mongolia, hanno avuto un terribile incidente stradale in Siberia da cui sono usciti rotti ma vivi. Molti avrebbero tratto da quella drammatica esperienza un insegnamento preciso: cammina dove l’acqua è bassa. Loro no, hanno superato i problemi fisici, hanno rimarginato le ferite morali e si sono concentrati sulla resurrezione. Sono risorti, di fatto, rendendosi conto che tutto passa e, soprattutto, che non hanno perso il coraggio di avere coraggio. Fra poco, prenderanno nuovamente confidenza con il viaggio “beyond the road” esercitandosi nel deserto del Marocco e questa estate affronteranno un viaggio avventuroso in America, dal Cile fino alla Florida, percorrendo le ardite carrozzabili andine, le carretere del centro-america e messicane per poi godersi i grandi orizzonti sulle vaste strade statunitensi. Che coraggio ci vuole? – si chiederà qualcuno. Basta avere il tempo e il denaro per farlo. Non è così. Ci vuole fegato, soprattutto se sei caduto e hai trovato la forza di non arrenderti nonostante le cicatrici e ritornare in piedi, anzi in sella. Apprezzo la loro capacità di vincere la paura che li accompagnerà come un’ombra shakespeariana lungo la via. Perché di una cosa sono certo, e parlo per esperienza personale. Chi dice “non ho paura”, mente. L’uomo coraggioso non è colui che non conosce la paura, è chi sa dominarla. Il coraggio è fatto di paura, diceva Oriana Fallaci. Quando mi chiesero se in Afghanistan, dove ogni giorno alzavo l’asticella del mio coraggio e correvo rischi sempre più sottili, avevo paura, risposi “Sì, certo.” A fare la differenza fu la capacità di considerare la vita un passaggio. Mentre attraversi questo meraviglioso ponte che unisce il giorno della nascita a quello della morte, non devi pensare che puoi cadere nel vuoto. Devi concentrarti sui tuoi passi, su ciò che ti aspetta, sui panorama spettacolari, le conoscenze e le emozioni che avrai in premio, a patto di avere coraggio, camminando a fronte alta, con passo commisurato alle proprie attitudini ma comunque fermo. A che serve avere paura? A rallentarti, a privarti di esperienze che nel bene e nel male ti arricchiscono, favorendo la crescita animica. Avere paura è la cosa più stupida del mondo e la paura è l’unica cosa di cui un uomo dovrebbe avere paura. Un po’ invidio mia figlia e il suo promesso sposo, che al termine del loro nuovo viaggio “beyond the road” si uniranno in matrimonio. La metto sul ridere, oggi ci vuole coraggio anche a sposarsi… Spero di non avere offeso la sensibilità di chi ha una visione del coraggio più intima o più epica. Lo so che ci vuole coraggio anche a tirare avanti quando la propria vita sa di merda, che spesso questo coraggio manca e viene la tentazione di arrendersi. Oppure che il vero coraggio è la dimensione in cui gravitano gli eroi, piccoli o grandi che siano. La verità è che ci sono mille modi per essere impavidi, intrepidi, audaci, e li apprezzo tutti, senza distinzioni. E tutti, a ben vedere, rivelano un comune denominatore, il coraticum. C’è una frase, nel film Bravehaert, che mi è rimasta impressa. Malcom Wallace dice: “Il tuo cuore è libero, abbi il coraggio di seguirlo”. È la chiave di lettura giusta. Il coraggio di avere coraggio si nutre seguendo il proprio cuore, non la mente o l’opinione comune. Ma il cuore, necessariamente, deve essere libero e capace di alimentare i sogni.
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