Strisce di bandiera
"Un ufficiale, di cui la memoria del reggimento non ha tramandato il nome, dice: «Signor colonnello, cerchiamo di salvarla, la bandiera. Siamo tanti, se la facciamo a pezzi e ne prendiamo uno per uno qualcosa riusciremo a portare in Italia. Anche se tornasse a Roma un solo pezzo sarà come se fosse tornata la bandiera intera, se ne dovessero tornare di più li riattaccheremo e la nostra bandiera sarà salva».Tagliare la bandiera. Forse nessuno, tra chi era quel mattino a Wietzendorf, aveva mai pensato fosse una cosa possibile. Anche per gli ufficiali più giovani e di complemento la bandiera era sacra e intoccabile. Non perché erano nati e cresciuti durante il fascismo, ma perché non c’è esercito al mondo dove non la si pensi così.
Renzo Reggianini non dice di no.
«Ho capito, ci voglio pensare», e si allontana da solo.
Quando torna sono passati tre, al massimo quattro minuti.
«Va bene, ho deciso, facciamo così».
Chiama per cognome dodici ufficiali .
«Io prendo le medaglie, spezziamo l’asta, tagliamo il drappo in sei e dividiamo i pezzi tra di noi. D’accordo?».
I dodici assentono, chi con un gesto del capo, chi con un secco «Signorsì». Il tenente Filla consegna la bandiera al suo comandante e inizia lo “spezzettamento”. L’asta, con l’aiuto di una baionetta, viene divisa in cinque parti, la freccia viene separata, il drappo viene steso e, sempre con la baionetta, diviso in sei parti regolari: due verdi, due rosse, due bianche con lo stemma sabaudo diviso in due.
Candiano Filla si mette accanto al colonnello con i pezzi della bandiera e Reggianini chiama i dodici uno a uno e consegna a ciascuno una parte della bandiera:
Maggiore Spartaco Cionci, la piastrina
Capitano Ezio Botti, la lancia.
Capitano Franco Fort, parte dell’asta.
Tenente Candiano Filla, bianco superiore.
Tenente Francesco Santella, parte dell’asta.
Tenente Marco Pignatti di Morano, fodero e parte di rosso.
Tenente Adriano Avilloni, parte dell’asta e verde.
Tenente Edmondo Brunellini, verde.
Sottotenente Giuseppe Benignetti, bianco inferiore.
Tenente Pietro Jacchia, rosso.
Tenente Federico Nappi, parte dell’asta.
Sottotenente Filippo Procaccianti, parte dell’asta.
Non ci sono cerimonie, solo saluti appena accennati e qualche “attenti” circospetto. E la bandiera sparisce sui corpi e nei vestiti dei tredici ufficiali.
«Adesso dobbiamo giurare», dice il colonnello. «Di fare il possibile per salvarla e, una volta tornati a casa, di riconsegnarla a me, se tornerò vivo, o a chi di dovere».
Reggianini allarga le braccia come fosse un celebrante.
«Venite qua».
I dodici gli sono intorno e forse nessuno, in quel momento, pensa alla coincidenza con il numero degli apostoli di Gesù. Si prendono mano per mano, si stringono fino ad abbracciarsi stretti.
«Lo giurate voi?».
«Lo giuro», dicono quei dodici uomini la cui vita, da quel momento, è legata al pezzo di stoffa o di legno che hanno nascosto su di sé. E’ per questo, forse, che quasi tutti hanno lacrime agli occhi o lo sguardo basso di chi è commosso. O forse perché la breve cerimonia ha fatto capire quanto la loro vita sia in pericolo.
Reggianini lascia passare qualche istante prima di chiamare uno dei dodici ufficiali, probabilmente lo stesso portabandiera Candiano Filla.
«Bisogna fare un appunto preciso su come è stata divisa la bandiera, prenda nomi, cognomi e indirizzi. Accanto ci metta città, via e numero civico».
E mentre i bersaglieri del Secondo stanno consegnando quello che di bellico gli è rimasto addosso il tenente Filla scrive su un foglio del suo taccuino i tredici nomi. Un foglio che è rimasto integro, così come venne scritto quel giorno, con una sola lettera a indicare i pezzi di bandiera: v per Verde, b per Bianco, r per Rosso.
Edmondo Brunellini, appena il colonnello glielo affida, infila in tasca il pezzo di stoffa verde, ma quando si avvicina il momento di passare davanti ai tedeschi per consegnare «quello che ha di militare» ha paura che gli portino via la giacca e, allora, addio bandiera. Si accuccia, chiede a tre bersaglieri di stare fermi intorno a lui, si sfila lo stivale e ci infila dentro la sua bandiera. Non l’ha piegata e, quando cammina, sente la stoffa sulla pianta del piede.
La bandiera col bianco centrale inferiore mancante
Due giorni dopo l’arrivo a Wietzendorf viene chiamato l’appello degli ufficiali. Inquadrati come reclute vengono riportati alla stazione dove un treno merci è pronto per loro. Viene consegnata una pagnotta ogni due ufficiali e quando sono sui vagoni lo sportello a scorrimento viene chiuso dal di fuori. E così il treno su cui viaggiano gli ufficiali del Secondo diventa uno delle centinaia di treni che in quei giorni attraversano l’Europa con gli uomini trattati come animali da trasportare da un luogo all’altro: si parte stando in piedi, si rosicchia un po’ di pane, ci si comincia a sedere. Poco a poco ci si ritrova sul pavimento di assi sconnesse senza riuscire a parlare tanto è forte il rumore delle ruote che scorrono sui binari."
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