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Il corridoio meridionale

Creato il 29 novembre 2011 da Istanbulavrupa

Il corridoio meridionale(pubblicato su Develop.med dell’Istituto Paralleli, con traduzione inglese)

La Turchia e l’Azerbaigian hanno finalmente dato concreto avvio alla loro partnership strategica ed energetica. Il 25 e 26 ottobre a Izmir, metropoli sull’Egeo, si è riunito il primo Consiglio di cooperazione strategica tra i due paesi: un vero e proprio consiglio dei ministri congiunto, presieduto da Recep Tayyip Erdoğan e da Ilham Aliyev, a cui hanno partecipato – tra gli altri – i titolari degli esteri, dell’economia, dei trasporti, dell’energia. Un evento atteso da più di un anno, anticipato dall’accordo di partnership strategica e reciproca assistenza siglato durante una visita a Baku – lo scorso agosto – del presidente turco Abdullah Gül e dall’atto istitutivo del Consiglio di cooperazione strategica – lo scorso settembre, a margine del Summit degli stati turcofoni a Istanbul – perfezionato con le firme di Erdoğan e Aliyev.

Il vertice di Izmir è stato altamente proficuo. Sono stati prodotti 15 documenti, tra cui quello di fondamentale importanza per il transito – attraverso la Turchia e verso l’Europa – del gas proveniente dal giacimento gigante Shah Deniz in Azerbaigian, la cui seconda fase di sviluppo (Shah Deniz-2) andrà a regime secondo i programmi a partire dal 2017: l’atto ufficiale di nascita del Corridoio meridionale, per il trasporto verso i mercati occidentali delle ricchezze fossili del Caspio; il premier turco e il presidente azero hanno poi partecipato all’inaugurazione di una scuola intitolata ad Haydar Aliyev, padre di Ilham e presidente fino alla sua morte nel 2003, e alla cerimonia della posa della prima pietra di una raffineria – la fine dei lavori, dal costo complessivo di 5 miliardi di dollari, è prevista per il 2015 – che verrà costruita e poi gestita dalla joint-venture tra Socar (75%) e Turcas (25%) creata sin dal 2006: una raffineria dalla capacità complessiva di 10 milioni di tonnellate all’anno, che servirà ad allentare la dipendenza energetica della Turchia e a contrastare il conseguente squilibrio strutturale nella bilancia dei pagamenti (le importazioni di prodotti petrochimici incidono per più del 10%). Nel corso del suo intervento, il primo ministro Erdoğan ha anche annunciato l’apertura, a breve, della linea ferroviaria Baku-Tbilisi-Kars: la via della seta ferrata che metterà in più veloce comunicazione l’Europa con l’Asia centrale.

In effetti, la penisola anatolica è già solcata da una duplice pipeline di provenienza azera: l’oleodotto Baku–Tbilisi–Ceyhan, che sfocia sulla costa mediterranea turca ai confini con la Siria; il gasdotto Baku-Tbilisi-Erzurum, che s’innesta nella rete di distribuzione turca (il percorso subisce una pesante deviazione – attraverso la Georgia – per evitare il passaggio in Armenia, in conflitto con l’Azerbaigian per il Nagorno-Karabakh). Grazie all’accordo di Izmir, per il transito e la rivendita a paesi terzi, sarà possibile il passaggio successivo: costruire altre pipelines, con cui poter convogliare in futuro anche il gas naturale del Turkmenistan e il petrolio del Kazakhstan (sarà però necessario un collegamento al sistema azero-turco, con condotte sottomarine sul letto del Caspio); per l’Europa e l’Occidente, è il sogno dell’affrancamento energetico dalla Russia e dall’Iran.

I progetti in lizza sono tre. Innanzitutto il Nabucco, quello caldeggiato dall’Unione europea e inserito nel programma dei Trans-European Networks, il più ambizioso e costoso: circa 4000 chilometri dal confine turco-georgiano all’Austria, passando per la Bulgaria, la Romania e l’Ungheria e con possibilità di ulteriore commercializzazione – data la portata prevista di 31 miliardi di metri cubi all’anno, gas azero ma anche turkmeno – ad altri paesi dell’Europa centrale; l’Interconnettore Turchia-Grecia-Italia (Itgi), di lunghezza e portata ridotte, con un ultimo tratto sottomarino – il gasdotto Poseidon – tra la Grecia e Otranto; il gasdotto trans-adriatico (Trans-Adriatic Pipeline, Tap), il più corto ma con una portata potenzialmente doppia rispetto all’Itgi, 20 miliardi di metri cubi all’anno contro 11: 500 chilometri da Komotini nella Tracia greca a Brindisi, attraverso l’Albania e il mar Adriatico. Nel corso del Black Sea Energy and Economic Forum di qualche giorno fa a Istanbul, il ministro azero dell’energia e dell’industria, Natiq Aliyev, ha annunciato che entro tre mesi verrà presa una decisione su quale progetto tra i tre verrà rifornito e quindi costruito.

Ma ci sono due incomodi dell’ultima ora: la South-East Europe Pipeline (Seep) proposta dalla British Petroleum, sempre dalla Turchia all’Austria, ma di portata limitata a 10 miliardi di metri cubi all’anno (niente gas turkmeno, quindi) e soprattutto costruita – con un costo notevolmente inferiore agli altri – sfruttando le linee già esistenti che verrebbero integrate nei tratti mancanti, col beneplacito degli Usa; il gasdotto trans-anatolico (da non confondere con l’oleodotto dallo stesso nome, da Samsun sul mar Nero a Ceyhan), dal confine turco-georgiano verso occidente, fino al confine turco-greco e turco-bulgaro, con una capacità di 16 milioni di metri cubi all’anno e gestito in proprio da Turchia e Azerbaigian.

Chi prevarrà?



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