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Il “Corriere” celebra Emma Bonino (e nasconde il suo passato)

Creato il 02 maggio 2013 da Giulianoguzzo @GiulianoGuzzo

bonino

I fatti non dovrebbero spaventare i giornalisti. Anzi, in teoria dovrebbero essere il loro pane. E allora proprio non si comprende la ragione per cui il primo quotidiano d’Italia, il Corriere della Sera, l’altro giorno abbia scelto di celebrare il nuovo Ministro degli Esteri, Emma Bonino, con un ritratto dai toni commossi – quasi si trattasse, più che di una politica, di una santa – e stranamente omissivo di aspetti interessanti. Ma lasciamo “parlare” direttamente la penna di Maurizio Caprara: «Eletta nella legislatura d’esordio del Partito radicale di Marco Pannella a Montecitorio circolava in Transatlantico con le gonne a fiori e gli zoccoli neri delle femministi di allora. Stilisticamente e antropologicamente distante dal circondario. Capelli arruffati rispetto ad adesso, sguardo determinato e passo deciso, Emma Bonino costitutiva un modello di donna in politica diverso […] E’ anche per questo che a 65 anni Emma Bonino risulta nel giovanile nel governo di Enrico Letta uno dei nomi di fatto più intrisi di novità» (Corriere della Sera, 28/4/2013, p. 12)

Spacciare come intriso «di novità» il nome di un politico entrato in Parlamento nel 1976 è una prodezza giornalistica che solo al Corriere poteva riuscire. Così come solo al Corriere  - grande sponsor ed ideatore del caso editoriale La Casta poteva riuscire una dimenticanza davvero significativa, a proposito di Emma Bonino. Si tratta dell’esordio parlamentare della “pasionaria radicale”, esordio contrassegnato dal respingimento grazie all’immunità parlamentare di una richiesta di autorizzazione a procedere nei suoi confronti avanzata dalla magistratura; richiesta peraltro assai grave. Ma ancora una volta evitiamo giri di parole e lasciamo la parola agli Atti ufficiali della Camera dei Deputati.

Siamo nell’ottobre 1977 e all’esame dell’Aula vi sono alcune domande di autorizzazione a procedere in giudizio, fra le quali «la domanda contro i deputati Pannella, Faccio Adele e Bonino Emma, per concorso – ai sensi dell’articolo 110 del codice penale – nei reati di cui all’articolo 416 del codice penale (associazione per delinquere) e agli articoli 81, 112 nn. 1 e 2, 118 primo capoverso, 546 e 555 del codice penale (aborto di donna consenziente continuato e aggravato) (doc. IV, n. 28). La Giunta propone che l’autorizzazione sia negata». Ebbene, pochi minuti dopo, si pone «in votazione la proposta della Giunta di negare l’autorizzazione a procedere nei confronti dei deputati Pannella, Faccio Adele e Bonino Emma. (è approvata)» (Atti Parlamentari, Camera dei Deputati, VII Legislatura – Discussioni – Seduta del 19/10/1977, 11415).

Ma perché la magistratura aveva inoltrato questa richiesta, subito respinta? La ragione è semplice: nel gennaio 1975 fu scoperto un ambulatorio di aborti clandestini situato nella villa dove – scrissero allora i magistrati – «si trovava anche la sede fiorentina del Partito Radicale e del CISA. A procacciare le carovane di clienti erano le due militanti femministe, divenute poi rappresentanti del popolo […] emerse che più volte vari gruppi di donne erano state accompagnate da Faccio Adele e Bonino Emma […] sempre con lo scopo di praticare aborti illegali – avvalendosi di molte strutture del Partito Radicale». In poche parole Emma Bonino, insieme ad altri, era sospettata d’aver commesso reati molto gravi. E verosimilmente ne era del tutto consapevole.

Infatti fu lo stesso Marco Pannella, una volta eletto deputato, a dirsi meravigliato del fatto che la richiesta a procedere nei loro confronti non fosse stata subito trasmessa al Parlamento: «Sono cinque mesi – disse Pannella - che siamo deputati, e ancora nessuna richiesta del genere è ancora partita» (Stampa Sera, 5/11/1976, p. 2). Di lì a poco quella richiesta arrivò ma, come abbiamo visto, l’autorizzazione a procedere venne prontamente respinta. Grazie all’immunità parlamentare. Senza che Emma Bonino – stando ai resoconti stenografici – abbia avuto alcunché da ridire rispetto al ricorso a quello “scudo” che sa e sapeva molto di privilegio della Casta.

Si vede che in fondo non le dispiaceva cavarsela così. Mentre oggi forse dispiace al Corriere, che difatti celebra la leader radicale guardandosi bene dal rammentare quell’episodio. Ma perché nascondere ai cittadini che la donna che oggi è Ministro degli Esteri fu nel mirino dei magistrati per associazione a delinquere e non si fece mai processare? Perchè incensarla spacciando il suo come un nome «di novità» e nascondere un passaggio chiave del suo esordio parlamentare? I lettori non sono forse, come diceva Montanelli, i veri padroni cui ciascun giornalista deve obbedire? O forse, più semplicemente, fa comodo denunciare “la casta” a politici alterni?



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Da Alessandro Pomes
Inviato il 04 giugno a 07:40

Pessimo articolo, anche se non c'è da stupirsi. Emma Bonino, Adele Faccio, Gianfranco Spadaccia ed altri si AUTODENUNCIARONO per quegli aborti, e la meraviglia di Pannella consisteva nel fatto che VOLEVANO che il Parlamento si pronunciasse: se negava, come ha negato, l'autorizzazione a procedere per reati connessi all'aborto clandestino, di fatto avallandolo, dovevano procedere alla legalizzazione dell'aborto, come poi accadde. La storia bisogna conoscerla, prima di scriverla.