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Il Corvo di Pietra: l’Avventura dell’Adolescente Corto Maltese

Creato il 29 dicembre 2014 da Dietrolequinte @DlqMagazine
Il Corvo di Pietra: l’Avventura dell’Adolescente Corto Maltese

Sarà anche un viaggiatore romantico che si esprime con la prosa barocca della letteratura odeporica dell'Ottocento ma Marco Steiner ha una presenza sul web che non ha nulla da invidiare alle starlette dei nostri giorni. Allievo prima, dentista (ci tiene a precisarlo in tutte le sue interviste, chissà perché), collaboratore poi e infine prosecutore dell'opera di Hugo Pratt, ha recentemente pubblicato per la casa editrice Sellerio Il corvo di pietra. Il libro narra una nuova avventura dell'eroe più famoso del fumettista italiano, Corto Maltese. A voler essere precisi Marco Steiner è uno pseudonimo datogli dallo stesso Pratt. Il nome è l'unione delle sillabe dei due suoi personaggi preferiti come racconta lo stesso Gianluigi Gasparini (il suo vero nome): MARlowe e, naturalmente, COrto Maltese. Steiner è invece una storpiatura in salsa mitteleuropea del suo scrittore preferito, John Steinbeck.

Il corvo di pietra è un romanzo breve che narra di un'avventura occorsa a Corto Maltese quando era quattordicenne ma di cui egli non è il protagonista. A differenza di altre sue opere qui Steiner infatti non completa progetti del suo mentore e non allarga altri cicli del famoso marinaio. Difatti l'eroe di Pratt è un comprimario e nemmeno il più importante, perfino il suo ingresso a storia inoltrata avviene senza fuochi d'artificio. Steiner dimostra molta saggezza letteraria facendo sì che l'affetto verso il personaggio non ne faccia il centro nevralgico di una storia che vuole essere autonoma. Il romanzo è invero composto di continue micro-narrazioni, spesso autoconcludenti, che denotano tutta la passione dello scrittore per la straordinarietà di piccole storie che assommate fanno la grande Storia. Il corvo di pietra ha però il difetto di concentrare quasi prevalentemente la sua attenzione verso questo versante. Le cene luculliane sono francamente troppe e, come il comandante Kee, anche il lettore a un certo punto sbotta per l'eccessiva reiterazione dei soliloqui culinari di Chiaromonte. Si ha l'impressione che il tentativo di Steiner di dare dignità letteraria alla vera figura del cuoco Ciccio Sultano sprofondi a più riprese in una sorta di sentimentalismo senile-mitico sui vecchi sapori della Sicilia che chi scrive nota spesso nei viaggiatori occasionali della Trinacria. Se il gusto è il senso più titillato nei protagonisti del volume, l'olfatto è certamente quello più evocato dallo scrittore. Quasi ogni descrizione è inframmezzata da odori, afrori e persino umori femminili. Come se donne vestite emettessero incessantemente feromoni et similia e così copiosamente da essere annusabili nolentemente. Piaccia o no, metà del romanzo scivola via tra raffinate disquisizioni culinarie e racconti atavici privi di ripercussioni nel presente. A subire le negative conseguenze di questa scelta sono proprio i personaggi di movimento come Corto, Bertram e Riley che hanno relativamente poco spazio. Essi sono gli unici a scorazzare fuori dalle navi e dai pranzi alla ricerca attiva di corvi e tesori. Insomma, è proprio l'azione a mancare e questo in un romanzo d'avventura è quantomeno discutibile.

Nemmeno la precisa rievocazione di fatti storici realmente avvenuti, come la caduta del campanile di San Marco a Venezia e l'alluvione di Modica, serve a dare una scossa alla vicenda. Il fatto che Steiner imbottisca il libro di riflessioni altisonanti sull'epica del viaggio, tanto da metterle sin dall'epigrafe dedicata alle figlie, fa semmai sorgere dubbi sulla trasversalità di significato con cui l'autore indora il termine. Tutto è viaggio, pare di capire a lettura ultimata, che sia un ricordo, un'avventura, una storia, una degustazione o una fragranza. Il giudizio perplesso su Il corvo di pietra nasce a latere dalla scelta di un finale che appare quantomeno affrettato. Il tesoro che Calder e Chiaromonte cercano con tanta determinazione resta sempre avvolto da un alone di mistero irrisolto. Se ne parla pochissimo fino all'ultimo climax quando la sua perdita viene dispiegata in appena due capitoli. La scrittura di Steiner fino a quel momento usa tutti gli stilemi di una narrazione monstre, o quantomeno di un romanzo lungo (scrittura avvolgente, molti personaggi, descrizioni barocche), per poi dare una netta cesura alla tensione creatasi con un nulla di fatto. Forse Steiner aveva troppa fretta di dare un marchio di insuccesso alla prima avventura di Corto Maltese per ricalcare il suo carattere di indefesso avventuriero che "apre porte socchiuse" anche se dietro si nasconde il fallimento? Tolta anche qualche sciatteria di raccordo e la ripetizione di tare fisiche di personaggi "nodosi" e contorti "come tronchi d'ulivo" il giudizio resta comunque positivo. L'allievo di Pratt dimostra con quest'opera che se si arma di maggior praticità e meno ariosità può viaggiare tranquillamente nel mondo della letteratura.


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