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A volte i ritardi dei treni possono portare qualche beneficio. Penso che la vita attorno alla stazione ferroviaria di una grande città ci dice molto sull’anima della gente. Dagli aromi riesci a intuire il grado di integrazione delle varie etnie. I paraggi di Genova Principe, per esempio, sono una specie di osservatorio sull’immigrazione. Questo da sempre.
Genova è una città unica. Non è una città per turisti. Non c’è nulla da vedere. La sua bellezza non si fotografa. Si condivide. Là, bisogna schierarsi. Appassionarsi. Essere per, essere contro. Essere, violentemente. Solo allora ciò che c’è da vedere si lascia vedere. Ciò che c’è da capire, si lascia capire. Voci di piante, odori di persone.
Il negozio di Chen è anfrattato in mezzo alle stamberghe di vico della Maddalena. Chen arriva a tutte le ore; ha una macchina vecchissima, con gli sportelli alti come le porte e finestrini che sembrano feritoie. Non ho mai capito che razza di marca sia. Qui viene a fare la spesa l’altra metà di Genova, quella che cerca foglie di banana e salamini halal. Ma anche massaie progressiste che cercano un’alleanza pericolosa tra il pesto e il cous cous. Fuori c’è uno zerbino che troppo ottimisticamente dice “Benvenuti”.
All’interno il negozio trabocca di parole. Ognuno ci porta i suoi quattro soldi di saggezza. Tra gli avventori ci sono anche quelli che possono permettersi di pagare le derrate solo con mucchi incredibili di monetine da due centesimi o il venditori ambulanti che barattano il prezzo del pesce surgelato con due ombrelli. Ma anche l’imprenditore pachistano o il professore libanese.
I mediatori culturali definiscono un posto come il negozio di Chen, adatto per quelli che condividono “la cultura del riso”, intendendo con questo non solo l’affinità di gusti alimentari, ma anche la propensione all’allegria tipica di quei paesi in cui, in mancanza d’altro, ci si regala almeno un sorriso.
Una volta da dietro gli scaffali di pesce essiccato ho sentito una voce con una cantilena xeneise, supplicare la signora Chen di trovargli una buona moglie cinese. “Le nostre mogli hanno troppi grilli per la testa. Voi siete gran lavoratrici, mangiate poco e rispettate anche l’uomo”. La signora Chen non si è spazientita. Tanti anni passati nel negozio di Chen le hanno insegnato che vendere i sapori significa anche assaggiarne i dissapori.
Ho tergiversato per i bancali che esponevano creme schiarenti e balsami per domare i ribelli ricci africani. Non ero per nulla interessato a quei prodotti, ma volevo vedere almeno la faccia di quell’italiano maschilista. Da dietro lo scaffale, invece, è sbucato un uomo dalla pelle nerissima. Al mio stupore, la signora Chen ha recitato un proverbio cinese: tutti i corvi del mondo sono neri. Ovvero, gli stereotipi universali, sono duri a morire...
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