“12 dollari per un letto d’ostello?!” è stata la prima che mi è saltata in mente quando il gestore dell’unico ostello di Dili ha risposto alla mia mail. In confronto ai prezzi occidentali probabilmente non risulterà una grande sorpresa, ma viaggiare zaino in spalla nell’Asia meridionale raramente costa più di dieci dollari a notte. In particolar modo per un letto in camerata. All’arrivo mi rendo conto che non sono stato fregato, anzi, ho trovato l’accomodazione più economica. Come mai il Timor costa almeno il doppio rispetto agli altri paesi di questa regione?
È quasi un paradosso dire che la ragione principale dei costi così alti è la povertà stessa dei suoi abitanti. Per capire questa situazione è necessario capire cosa è successo da queste parti negli ultimi trent’anni. Al momento dell’abbandono di questo piccolo Paese da parte del Portogallo, dopo centinaia di anni di colonizzazione, il Timor Est ha sofferto un momento di debolezza, così da permettere all’Indonesia, supportata dagli Stati Uniti (suona come una storia già raccontata?), di invaderlo e prendere il controllo. Dal 1975 l’Indonesia ha massacrato questa parte dell’isola, uccidendo migliaia di persone, e facendo scappare altrettante. I riflettori del mondo però mai hanno puntato la luce su questo inferno, fino all’episodio reso noto come il massacro di Santa Cruz. Il 12 Novembre 1991 infatti un gruppo di protestatori pacifici fu preso sotto tiro ucciso a sangue freddo dalle truppe indonesiane. Il fatto, ripreso da un giornalista inglese, fece il giro del mondo e convinse una volta per tutte le Nazione Unite ad intervenire. Per l’indipendenza ci vollero altri 11 anni, e nonostante le regolari elezioni del 1999, arrivò soltanto nel 2002. In una situazione così delicata però l’UN fu costretto a rimanere all’interno del Paese e mantenere la situazione sotto controllo.
Con le forze di polizia straniere a mantenere la pace nacque il bisogno di infrastrutture adatte agli occidentali, e così cominciarono a spuntare hotel, guesthouse e ristoranti, prima nella capitale, e poi, lentamente, nelle principali destinazioni del weekend nel resto del paese. I locali però, appena usciti dal periodo più brutto della loro storia e per la prima volta liberi, oltre a non potersi permettere di andare in vacanza, avevano un futuro di fronte da costruirsi. In un paese dove il turismo non esisteva quindi, l’unico mercato per il settore dell’ospitalità sono stati per diversi anni i funzionari australiani, neozelandesi, e inglesi mandati qui da organizzazioni governative e non, quasi sempre con alti stipendi e mesi o anni di permanenza di fronte. Gli albergatori di conseguenza si sono adattati, e spendere 20, 30, 40 o anche 70 dollari per una camera ancora oggi è normale. Le autorità straniere sono ancora in giro, ma stanno allentando la presa con l’intenzione di lasciar crescere il Paese per conto proprio nel giro di alcuni anni. In molti dicono che quando l’UN lascerà il Timor, i prezzi cominceranno ad abbassarsi, ma finché qualcuno non avrà problemi a spendere il triplo del normale i primi turisti che oggi mettono piede sul territorio saranno costretti ad adattarsi.
Visitare il Timor Est a budget limitato oggi costa intorno ai 30 dollari americani al giorno. Una moneta locale qui non esiste, se non per gli spiccioli, ed è quindi utilizzata la valuta statunitense. Come detto, le opzioni più economiche per dormire costano tra i 9 e i 20 dollari, a seconda della zona e della concorrenza (a volte inesistente). Per mangiare ci si può cavare con 3-4 dollari in un ristorante utilizzato dai locali, mentre quando si trova un menù in inglese, nonostante gli standard siano più o meno gli stessi, si tende a spendere almeno un paio di dollari in più. Al supermercato, senza sorpresa, si trova ogni tipo di bene, ma i prezzi sono gli stessi che in occidente. Di attrazioni a pagamento ne esistono ben poche, e non sono da tenere di conto, ma una buona idea, anche quando non strettamente necessario, è pagare una guida per i trekking o per visite in aree più remote, tra i cinque e i dieci dollari, e supportare così le piccole economie locali. Il trasporto, che avviene in taxi, microlet, autobus, o nave per le isole di Atauro e Jaco o Oecussi, costa anch’esso una manciata di spiccioli.