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Il costo della rinuncia all’atomo

Creato il 03 giugno 2011 da Lorenzo_gigliotto
Il costo della rinuncia all’atomo

QUORUM SI
La Corte di Cassazione ha deciso «a maggioranza» che il referendum sul nucleare è ammissibile ma che il quesito andrà riformulato. Se vinceranno i sì verranno aboliti due commi del decreto omnibus approvato di recente – quello che secondo il governo già congelava il ritorno all’atomo. Ma si metterà la croce anche sulla seguente frase: «abrogazione delle nuove norme che consentono la produzione nel territorio nazionale di energia elettrica nucleare».

Il primo comma del provvedimento che verrà cancellato, nel caso di vittoria dei «sì», non blocca la definizione e l’attuazione del programma di costruzione delle centrali nucleari (che è già congelata dal provvedimento), bensì la raccolta di «ulteriori evidenze scientifiche, mediante il supporto dell’Agenzia per la sicurezza nucleare, sui profili relativi alla sicurezza». Il secondo comma decide invece che entro un anno dall’entrata in vigore del decreto verrà adottata la Strategia energetica nazionale. Con una maggioranza di sì verrebbe cancellato.

Una parte del governo e degli antireferendari parla di un «pasticcio». In prima fila il sottosegretario allo Sviluppo Stefano Saglia, secondo il quale «si tratta di norme che ci impediscono di partecipare al dibattito europeo sulla sicurezza energetica – mi riferisco in particolare al comma 1 dell’articolo 5 – e che bloccano, soprattutto, la definizione di una Strategia energetica nucleare».

In teoria però la Strategia potrebbe anche essere il cavallo di Troia per tornare, in prospettiva, al nucleare, una volta che si saranno calmate le acque del dopo Fukushima. Almeno è quello che ha fatto capire il presidente del Consiglio Berlusconi quando ha annunciato la moratoria sull’atomo. In ogni caso, con la cancellazione definitiva del nucleare l’Italia rinuncia a 30 miliardi di euro di investimenti, di cui il 70 per cento gestito da aziende italiane. Entro il 2020 era prevista la costruzione di quattro centrali nucleari e la creazione di 13.600 posti di lavoro. Secondo stime di Confindustria Anie, altri 10.000 sarebbero stati creati attraverso l’indotto.

L’obiettivo del governo era quello di soddisfare un quarto del fabbisogno energetico con l’energia atomica. Saglia spiega che la rinuncia a quella quota impone una strategia «a tutto gas». Arriveremo al 2020, quando ai Paesi della Ue sarà chiesto di rendere conto della strategia 20-20-20 (un quinto di fabbisogno da fonti rinnovabili, un 20 per cento di taglio dei consumi energetici e un altro 20 per cento di taglio delle emissioni ci Co2) con una torta energetica suddivisa così, secondo il sottosegretario allo Sviluppo: «arriveremo a un 17-20 per cento di rinnovabili dall’attuale 8 per cento. Inotre dovremo puntare sul carbone pulito, più o meno un dieci per cento di energia arriverà da lì rispetto all’attuale 6-7 per cento. Infine, dovremo sviluppare almeno altri tre rigassificatori, perché quasi due terzi della nostra energia la ricaveremo ancora dal gas. Purtroppo».

QUORUM NO
Se il 12 e 13 giugno prevarranno i «no» o non si riuscisse a raggiungere il quorum, i commi 1 e 8 dell’articolo 5 del decreto amnibus entrati nel mirino della Cassazione rimarrano in vigore. In altre parole, verrebbe confermato il lavoro dell’Agenzia per la sicurezza nucleare guidata da Umberto Veronesi, finalizzato a raccogliere «evidenze scientifiche» sulla sicurezza del nucleare.

La stessa legge ha già stabilito che l’Agenzia non procede più, come era inizialmente previsto, «alla definizione e attuazione del programma di localizzazione ed esercizio nel territorio nazionale di impianti in di produzione di energia elettrica nazionale». È la famosa moratoria sbandierata dal Governo. In altre parole, l’individuazione dei siti dove costruire le centrali è già congelato. Ma l’Agenzia continua ad esistere, anche per partecipare al dibattito europeo sulla sicurezza. Un’esigenza indispensabile, secondo il Governo, ora che è stato avviato il programma di revisione del centrali europee, insomma gli stress test sul grado di sicurezza dei siti nucleari.

Soprattutto, resta in piedi il comma 8, l’iter individuato dal ministro dello Sviluppo Paolo Romani per la Strategia energetica nazionale. Un’urgenza, quella di un piano nazionale per l’energia, di cui si parla ormai da anni e che è sempre rimasta lettera morta. E in teoria, in quel programma di lungo respiro, il nucleare potrebbe rientrare dalla finestra. Non più tardi della scorsa settimana Romani ha ribadito che «continuiamo ad essere convinti che la scelta nucleare sia la più corretta per un Paese industrializzato come il nostro. Siamo un’anomalia all’interno delle potenze del G8», ha sottolineato durante il suo intervento alla recente Assemblea di Confindustria. Ma politicamente è evidente – anche dalla posizione assunta ieri dal Pdl – che fino al 2013, fino alle elezioni politiche, alle discussioni sull’atomo è stato messo il silenziatore.

In ogni caso in autunno Romani convocherà la Conferenza unificata per l’energia che dovrà dettare le linee guida per la Strategia. Sempre nell’intervento già citato in Confindustria, il ministro ha fatto intendere le linee guida. «Sì al fotovoltaico – ha scandito – ma con incentivi economicamente sostenibili per il sistema paese e con un particolare, particolarissimo, riguardo alla filiera industriale italiana».

E il quarto conto energia, ha aggiunto, è «una buona soluzione per il Paese. L’altro nodo che il governo si troverà a sciogliere nei prossimi anni avendo congelato il nucleare, sono i «dossier Nimby». Uno lo ha ricordato il ministro, la conversione della centrale a carbone di Porto Tolle bloccata dal Consiglio di Stato dopo le proteste dei cittadini. Le altre sono i rigassificatori: attualmente sono due quelli attivi ma per il futuro la fetta già molto pesante di gas nella torta energetica andrà rafforzata sbloccando altri impianti.

TONIA MASTROBUONI – LA STAMPA

http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/405151/



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