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Il costo delle promesse elettorali

Creato il 18 febbraio 2013 da Tiba84

L'analisi dell'Oxford economics mette in luce le conseguenze economiche delle promesse elettorali dei partiti politici italianai. I risultati (qui in inglese) sono interessanti. Questa iniziativa voluta dal Corriere della sera permette di studiare e analizzare l'impatto economico delle promesse elettorali, anche per capire quanto siano solo promesse irrealizzabili, parole vane, boutades, o quanto siano realizzabili. Ovviamente non conta solo questo, ma l'economia ha un rilievo importante. Per esempio, infatti, "quella del Pdl, in particolare, ruota attorno a una proposta chiave - la cancellazione contabile di 400 miliardi di debito pubblico - che è di non probabile realizzazione, sia di fronte all'Unione Europea, che difficilmente la accetterebbe nei termini in cui è stata formulata dal partito fondato da Berlusconi, sia di fronte ai mercati, che non è detto farebbero diminuire i tassi d'interesse sul debito italiano in base a un accorgimento tecnico."
Il costo delle promesse elettoraliIl Pd pecca sempre là dove deve fornire dei dati numerici, mentre la lista Monti e la lista Fare per fermare il declino danno per scontato la facile realizzazione di privatizzazioni non certo immediate.
La situazione non è esaltante, perché i miglioramenti sembrano più contenuti rispetto alle promesse. «Il sentiero per migliorare la crescita (e la produzione potenziale), all'interno delle restrizioni imposte dalla necessità di portare sotto controllo l'alto rapporto tra debito e Pil, è piuttosto stretto». In più, le enormi debolezze strutturali del Paese sono una palla al piede che impedisce anche solo di sognare di correre. E la determinazione dei partiti a rimuoverla è ancora tutta da dimostrare. Non possiamo insomma farci illusioni: la ricchezza delle famiglie non aumenterà facilmente. Probabilmente i programmi dovrebbero essere più ambiziosi, rischiare di più soprattutto nei confronti del debito pubblico. E tentare di salvare quelle piccole imprese che continuano a chiudere anche per la troppa (e inutile-berlusconiana) burocrazia.
Quanto costano i programmi dei partiti
Il costo delle promesse elettoraliL'obiettivo trasparenza e i problemi di realizzabilità
Quello che segue è un commento strettamente tecnico ai risultati dell'elaborazione econometrica effettuata nell'ambito dell'iniziativa Alla prova dei fatti lanciata dal Corriere della Sera lo scorso 18 gennaio. Si tratta di risultati basati sui programmi dei partiti o delle coalizioni che hanno risposto a un questionario di venti domande. L'obiettivo iniziale era spingere i partiti a essere trasparenti ed espliciti nei confronti degli elettori ai quali chiedono il voto, a scrivere nei dettagli le loro intenzioni. Quello che segue è il risultato: nessun partito ha soluzioni miracolose e ogni partito - ma in misura diversa - ha qualche problema di realizzabilità delle sue proposte.
Le organizzazioni che partecipano alla campagna elettorale che hanno risposto, e quindi sono state analizzate, sono Pd, Pdl, Con Monti per l'Italia, Fare per fermare il declino.
Le scommesse dei partiti e la misura dei risultati
In via generale, il programma del Pdl è quello che più fa aumentare Prodotto interno lordo (Pil) e occupazione, «ma a spese del deficit pubblico», nota Oxford Economics. In via abbastanza teorica, però. Occorre infatti considerare che c'è il rischio che alcune misure inserite nei programmi non diano i risultati che il partito si aspetta. «Il maggiore di questi rischi - nota Oxford Economics - deriva dalle entrate attese dalle privatizzazioni del programma del Pdl».
Pd e Monti si fondano invece meno su entrate incerte derivanti dalla vendita di beni dello Stato: quindi i loro programmi, più prudenti in fatto di bilancio, sono giudicati «più sicuri». Il programma di Fare è in una «posizione intermedia».
L'inflazione bassa (con il rischio deflazione)
È interessante notare che in tutti e quattro gli scenari analizzati l'inflazione rimane bassa, in alcuni casi troppo se la si riferisce al mandato della Banca centrale europea che pone l'obiettivo sotto al 2 per cento ma non lontano da quel livello. Ciò è indicativo di due cose. Innanzitutto, tassi d'inflazione in alcuni casi sotto l'1 per cento per periodi prolungati possono significare sviluppi deflazionistici in interi settori dell'economia: cioè cali dei prezzi e spinte recessive. Secondo, chi sperasse di ridurre il peso del debito pubblico con l'inflazione che ne erode il valore andrebbe incontro a delusioni.
Il costo delle promesse elettorali
Il Partito democratico e l'impatto sull'occupazione
Il programma del Pd - che, ricordiamo, ha preferito non fornire dati dettagliati - ha un impatto positivo dello 0,4% sul Pil rispetto alle previsioni del modello di base: la crescita tornerebbe nel 2014 (+0,4%) e si stabilizzerebbe all'1,4% tra il 2016 e il 2018. «Non sufficiente però a fare scattare una riduzione significativa della disoccupazione». Le misure del Pd farebbero crescere il reddito disponibile delle famiglie tendenzialmente dell'1% rispetto alle previsioni a politiche invariate. L'inflazione sarebbe molto bassa. «La natura delle misure che punta a bilanciare il budget (pubblico) combinata con una certa maggiore attività economica significa che il deficit dello Stato migliora leggermente, 0,2 punti percentuali di Pil sotto la tendenza di base». Il deficit pubblico scenderebbe progressivamente dal 2,2 per cento del Pil nel 2013 all'1,1 per cento del 2018: un miglioramento rispetto all'andamento a politiche correnti dello 0,2 per cento. Il debito calerebbe dal 126,5 per cento del Pil nel 2013 al 117,4 per cento nel 2018.

Dal Popolo della Libertà l'accento sulla crescita

Il programma del Pdl ha un impatto piuttosto forte sul Pil, soprattutto nei primi anni della legislatura, «come risultato di un forte pacchetto di stimolo, che è finanziato da un accordo una tantum con la Svizzera». La disoccupazione si riduce, sotto al 10%, dal 2017. Il reddito delle famiglie cresce un po' ma meno che nei programmi della liste Monti e Fare. Il problema del programma del Pdl è che il bilancio dello Stato si deteriora non solo più che con le politiche degli altri partiti ma anche rispetto alle previsioni di base, a politiche invariate, di Oxford Economics: dal 2017, il deficit sale sopra al 3% del Pil e vi rimane negli anni successivi (la simulazione econometrica tiene anche conto della restituzione dell'Imu promessa da Silvio Berlusconi). Già un risultato del genere costringerebbe il Pdl a modificare i suoi programmi, se intende restare - come afferma di volere - nel perimetro del Fiscal Compact europeo. Come si vede dalla tabella, inoltre, il debito pubblico scende in misura notevole. L'effetto è dovuto al piano di cessioni di asset pubblici contenuto nel programma: ciò nonostante, dal 2018 torna a salire.
La difficile cessione degli asset pubblici
Qui, sulla questione della riduzione del debito pubblico, c'è anche un serio problema di realizzabilità, legato a un elemento centrale della strategia del Pdl: la riduzione di 400 miliardi del debito pubblico stesso attraverso cessioni di patrimonio dello Stato. «La vendita di 400 miliardi di asset - nota Oxford Economics - è un punto chiave del programma del Pdl, dal momento che è da questa misura e dal suo impatto positivo sui mercati finanziari che il Pdl si aspetta una riduzione dei tassi d'interesse dell'1 per cento all'anno, 16 miliardi di risorse ogni anno da impiegare in tagli alle tasse. Deve essere notato che le cessioni per 400 miliardi sembrano essere tecnicamente molto difficili da ottenere nei cinque anni della legislatura. Nei 17 anni tra il 1994 e il 2010 (che includevano molti anni di mercati finanziari più ottimisti di oggi), l'Italia è riuscita a cedere patrimonio pubblico per meno di cento miliardi, secondo un documento pubblicato dal ministero dell'Economia nel 2010. Inoltre, il programma del Pdl prevede che circa 230-240 miliardi (circa due terzi dei 400 totali) saranno ottenuti creando una nuova società finanziaria incaricata di vendere specifici asset pubblici. Il fatto che questa società finanziaria possa essere considerata dentro o fuori il perimetro del debito dello Stato (e quindi se possa abbattere o meno il debito italiano) sarebbe soggetto allo scrutinio e alla possibile decisione non favorevole di Eurostat, mentre la reazione dei mercati finanziari sarebbe da verificare». Dubbi seri vengono dunque sollevati sulla realizzabilità della proposta cardine del programma della lista guidata dall'ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.
Monti, una ricetta che controlla il deficit
Il programma della lista del presidente del Consiglio porta a una crescita piuttosto bassa del Pil nel 2013-2014. Negli anni successivi, però, il Pil aumenta e nel 2018 cresce a un ritmo dell'1,8 per cento, che è lo 0,8 per cento in più di quanto farebbe l'economia italiana a politiche invariate. La disoccupazione si riduce lentamente ma non scende mai sotto il 10%. Il calo previsto delle tasse sul reddito porta a un aumento del reddito disponibile delle famiglie dall'anno prossimo in poi. Anche nel programma di Monti l'inflazione rimane bassa, anche se meno rispetto agli altri programmi a causa dell'aumento dell'Iva previsto il prossimo luglio che la lista di Monti non prevede di evitare. In linea con i principi ispiratori del movimento, il deficit è sotto controllo più di quanto non lo sia nei programmi delle altre liste: scende sotto l'1% del Pil nel 2018 (lo 0,5% meglio dello scenario di base di Oxford Economics). Il debito scende dal 125,7% del 2013 al 112,1% nel 2018.
Fare punta al taglio della disoccupazione
Il programma della lista porta a una buona crescita del Pil e a una discesa del tasso di disoccupazione sotto al 10% nel 2018. Il taglio delle tasse previsto porta un aumento del reddito delle famiglie più significativo che in altri programmi. Il deficit rimane abbastanza alto, sopra l'1,5% mentre il debito cala al 112,4% nel 2018 per effetto delle privatizzazioni.


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