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“Il cuore è un cacciatore solitario” – Carson McCullers

Creato il 07 aprile 2012 da Temperamente

“Il cuore è un cacciatore solitario” – Carson McCullersJohn Singer è uno dei due sordomuti della città. L’altro è Antonapolos, greco, grasso e rissoso. La vita di Singer cambierà e diventerà il perno simbolico di Il cuore è un cacciatore solitario quando l’altro sordo è costretto ad andare a vivere in clinica a causa dei suoi sempre più frequenti e instabili attacchi.

Carson McCullers aveva solo ventitré anni quando scrisse questo romanzo. La sua vita fu travagliata, disturbata dalle malattie psichiche e fisiche, ingarbugliata come solo quella di una persona profondamente intelligente e infelice può essere.

Siamo nel profondo sud degli Stati Uniti d’America, nel caldo costante e umidiccio, con i monelli per strada e i numerosi sfaccendati che bevono birra nei bar. Ci sono i neri, considerati razza inferiore, maltrattati e servi dei bianchi. Gli anni sono quelli della Grande crisi, il lavoro c’è solo a stagioni, si va a scuola fino a poco più delle medie e le ragazze vestono gonne ampie. In queste città sonnolenta la gente va e viene e si ha la sensazione che le cose cambino con lentezza pachidermica. Si vive insieme nelle grandi case, ma nonostante la vita sia umile e comune per quasi tutti, quasi tutti hanno la sensazione di un destino scomodo e solitario per sé stessi.

Carson McCullers poggia il suo occhio indagatore su quattro personaggi che girano intorno a Singer: Mick, ragazzina scostante con la passione per Mozart e le note; Jake Blount, lavoratore pieno di idee di stampo marxista che non riesce a comunicare agli altri; Biff, il gestore del bar, vedovo e pensieroso; il dottor Copeland, tenace uomo di colore completamente assorbito dalla causa. Queste quattro anime, che la McCullers rivelerà essere state prima delle voci a sé stanti che è riuscita poi a legare così bene, gravitano intorno al muto Singer, figura longilinea dagli occhi grigi nei quali placidamente i nostri si calmano. Quest’uomo che non parla, che si esprime con gesti delle frementi mani che nessuno può ascoltare, diventa il confidente dei quattro, che si recano nella sua stanza a sfogarsi o a sentire musica o a star zitti bevendo qualcosa. Singer è il depositore della loro quiete e della loro speranza, in lui essi riversano l’idealismo e le incertezze, specchiandosi in quel mutismo che li rincuora e che sembra dar loro atto che ci sia almeno un’altra persona a capirli. Singer diventa un profeta per la città,  proliferano leggende sul suo conto e c’è chi lo segue e lo venera da lontano attribuendogli qualità da supereoe. Il suo mito nasce grazie al suo essere differente a priori, la casualità lo rende il salvatore perfetto per le fantasie di ognuno. Quando si è così convinti di qualcosa, si diventa ciechi – quando si parla sempre di una stessa cosa, alla fine è come se non si stesse dicendo più niente, si diventa muti.

In McCullers ho trovato la stessa aria sonnolenta e carica di speranze tipica del mio amato sud, spingendomi follemente a pensare (vittima anch’io dello stesso idealismo dei quattro) che ci sia qualche universalismo pure nella distanza oltreoceanica; e nonostante quest’aria sia spesso pigra e malinconica, in essa io sento le voci dei sogni e dei progetti, delle fantasie e delle volontà; una somiglianza particolare, che mi fa pensare che c’è una soluzione a questa solitudine.

Azzurra Scattarella

Carson McCullers, Il cuore è un cacciatore solitario, Einaudi, 2008, € 11.80


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