Sabrina Portale 19 dicembre
«Déjà Vu», già visto: una felice formula che traduce l’impressione di trovarsi in un ambiente, o situazione, che ci sembrano già noti, anche se non lo sono. Una situazione che sarà capitata a tutti almeno una volta, ed è stata raccontata da molti, in letteratura, al cinema e nella musica. E Déjà Vu è proprio il titolo che i Negrita hanno dato al loro primo disco unplugged, sulla scia di grandi nomi della musica rock come Nirvana, R.E.M., Eric Clapton, solo per citarne alcuni. Sempre più forte e diffusa è, infatti, l’attrazione per l’acustico da parte di molti artisti spinti dal desiderio di “svestire” alcuni loro pezzi dell’arrangiamento originario, per offrirne versioni più intime, scarnificate, in cui emergono la cura e l’attenzione per il suono. L’album, uscito lo scorso 17 settembre, e proposto in doppio CD, presenta i maggiori successi della band aretina, con ventisei brani (più due inediti) riarrangiati ex novo in chiave semi-acustica. Dopo otto album in studio, tre dischi live e due raccolte, il gruppo ha voluto cimentarsi in questa nuova esperienza, maturata dopo il grande successo del tour teatrale Negrita Unplugged 2013, successo proseguito fino all’ultima data di Asti dello scorso 4 dicembre con una serie incredibile di sold out: spettacolo intimo e riflessivo che ha coinvolto emotivamente ed empaticamente il pubblico, in cui le luci, i movimenti, le scenografie, e i silenzi, hanno fatto fruire in modo diverso la musica, e i protagonisti assoluti sono stati gli strumenti, “nudi e crudi”, ma potenti. È come se la musica fosse stata presentata sotto forma di una tavolozza con cui creare mille sfumature, senza dimenticare le proprie origini, ma con la voglia di proiettarsi verso il nuovo. Déjà Vu nasce proprio da quest’avventura: dopo un 2012 “elettrico”, il 2013 è stato l’anno dell’acustico e del “minimalismo”. Ci si è concentrati per creare un nuovo mood, come spiega il chitarrista Drigo; un ibrido nato dalla fusione tra i nuovi elementi creati ad hoc per i live e i brani storici. Insomma, una ideale prosecuzione di quel percorso di maturazione musicale intrapreso negli ultimi anni dalla band, che proprio nel 2014 festeggerà i vent’anni di attività.
In tutto questo tempo, i Negrita si sono evoluti, provando a non essere mai uguali a loro stessi, seguendo percorsi musicali sempre nuovi. La band aretina è in continua trasformazione, come i camaleonti: cambiano pelle, colore, ricercano motivi, suoni ed emozioni sempre diversi. Déjà Vu non è una semplice raccolta di successi, e la selezione include pezzi provenienti da tutti i lavori precedenti. Alcuni rimaneggiamenti sono riuscitissimi, quasi delle canzoni nuove, spesso più coinvolgenti delle rispettive versioni originali, come Bonanza, Hemingway, Cambio, Ho imparato a sognare, Rotolando verso sud, Brucerò per te. Altri brani hanno avuto esito meno felice: Un giorno di ordinaria magia, Il libro in una mano, la bomba nell’altra, Luna, fra le altre. Nonostante la veste acustica, la vena rock & roll è mantenuta e costituisce il segno di riconoscimento della band. Non dimentichiamoci, infatti, che si tratta di un déjà vu, anche se entrano in gioco suoni contaminati. Il punto forte del gruppo è come sempre la voce calda e convincente di Pau, che si amalgama mirabilmente con gli arrangiamenti della chitarra. Accanto, si muovono violoncelli, cembali, armoniche, organi Hammond, con sonorità affascinanti ed originalissime, che dimostrano anche la bravura dei Negrita come polistrumentisti. Déjà Vu non è un disco statico, ma segue una climax, una evoluzione. Più che una semplice raccolta è da considerarsi come un vero e proprio album, grazie anche alla presenza dei due inediti: La tua canzone e Anima lieve: la prima ideata come sulla scia della commistione tra pop e rock e destinata a diventare una hit; la seconda, spirituale, intimistica, complessa dal punto di vista musicale e non di facile comprensione al primo ascolto. Come sempre, accanto alle sonorità coinvolgenti i Negrita danno vita a testi pregnanti di significato, che celebrano la voglia di riscatto, di ribellione, di attivismo, ma anche l’amore e le sue molte sfaccettature. In definitiva, siamo di fronte a uno dei migliori dischi italiani in circolazione: un tentativo, riuscito, di fusione fra cantautorato italiano e storia del rock; un album che sarà apprezzato dai vecchi fan, di certo, ma ne farà anche guadagnare di nuovi.
Le due fotografie della band sono opera di Alessio Pizzicannella