Titolo: Il demone
Autore: Tanizaki Jun'ichirō
Editore: Einaudi
Anno: 2010
Traduzione: Lidia Origlia
Fa sempre un po’ sorridere il tentativo diffuso di ordinare i testi di Tanizaki Jun’ichiro secondo una classifica di gradimento interna alla sua narrativa.
Mai, come nel caso di questo autore, ciascuno dei testi sembra costituire un universo a sé stante, retto da un solido nucleo di motivazioni intrinseche alla narrazione ed estrinseche alla stessa, che rifuggono ad ogni tipo di tassonomia.
Il motivo che rende interessante un testo apparentemente insulso, quasi banale, come Il Demone, breve racconto datato 1912, è il tentativo del maestro di confrontarsi con la letteratura europea, in particolar modo inglese, del tardo Ottocento. Ne risulta un racconto ibrido, in cui la tradizionale prosa giapponese, didascalica e sofisticata, assume nuance quasi gotiche e decadenti, ispirate ai testi di Edgar Allan Poe e Oscar Wilde.
La trama lenta, statica, dal finale fin troppo scontato, non toglie elementi al pathos della narrazione, che in poche pagine intreccia le vite di Saiko, Teruko e Suzuki in una spirale di ossessioni, desideri e minacce che rendono difficile individuare quale, tra i tre personaggi, sia il demone annunciato dal titolo.
Giovane studente universitario che ha già un rapporto difficile e morboso con il mondo, Saeki vive a Tokyo ospite della zia e della bella, lasciva e maliziosa cugina Teruko, che decide di conquistarlo senza ammettere alcun tipo di rifiuto. Al crescere della passione tra i due si oppone Suzuki, secondo studente ospite della casa, innamorato e ossessionato da Teruko, che lo ha rifiutato.
Il finale, annunciato sin dai toni morbosi e angoscianti delle prime pagine, non rende meno interessante l’esperimento di contaminazione di Tanizaki, che indaga negli anfratti di una passione e nelle sue conseguenze mortali, riproducendo, attraverso la sua narrazione, quello stesso meccanismo di restringimento, oppressione e chiusura che accompagna ogni tipo di follia. Una Tokyo opprimente e afosa fa da sfondo alla fuga di Saiko dalla realtà e alla sua vita da semirecluso tra le pareti della sua stanza, nella quale si consumano le passioni, ma anche la quasi totalità dei dialoghi, dei pensieri e delle ossessioni sue e degli altri personaggi. Non è un caso che, nella contrapposizione tra spazi chiusi e aperti, la vicenda trovi il suo epilogo in giardino, dove, il frusciare delle foglie di yatsude annuncerà la presenza dell’assassino, fuggito alla follia della casa ma non ancora riconciliato con le convenzioni, le regole e le buone pratiche della società civile.