Quanto e quando la dimensione nazionale di certi fenomeni socio-politici riesce ad intersecarsi con quella privata e caratteristica delle esistenze quotidiane? Quanto e quando il dibattito politico riesce ad influenzare, anche inconsapevolmente, il nostro modo di pensare e riflettere sul mondo?
Quanto e quando le decisioni politico-tecniche, in una tanto incerta quanto realistica battaglia fra visioni multiformi, riescono ad influenzare in maniera anche consistente le dinamiche che governano nel loro piccolo le nostre esistenze?
Quali sono le chiavi per poter provare ad essere un pò più interessati alle decisioni politiche ed alla tutela della res publica?
A domande come queste non è possibile rispondere in maniera semplicistica e neppure illusoria: larga parte dell'attuale sfascio generalizzato dipende ( in buona parte) proprio dalla carenza di cura applicata verso argomenti come questi.
Il primo rimedio per vedere un maggior numero di persone interessarsi concretamente ed attivamente alla politica potrebbe essere quello di applicare, nel merito delle tanto singole quanto infinite questioni possibili, una radicale " cura" verso le molte forme di ignoranza che hanno contribuito a rendere questa Italia ciò che è, oggi ma non solo. Cosa può causare e come si può sintetizzare la reazione contraria alla tutela della res publica?
E' possibile rispondere, nei fatti, impiegando una citazione attribuita a Bertolt Brecht e definita, appunto, dell'analfabeta politico:
" Il peggiore analfabeta è l'analfabeta politico.
Egli non sente, non parla, nè s'importa degli avvenimenti politici.
Egli non sa che il costo della vita, il prezzo dei fagioli, del pesce, della farina, dell'affitto, delle scarpe e delle medicine dipendono dalle decisioni politiche. L'analfabeta politico è così somaro che si vanta e si gonfia il petto dicendo che odia la politica.
Non sa l'imbecille che dalla sua ignoranza politica nasce la prostituta,il bambino abbandonato,l'assaltante, il peggiore di tutti i banditi,che è il politico imbroglione,il mafioso corrotto, il lacchè delle imprese nazionali e multinazionali."
Le conseguenze più grandi e gravi possono avvenire, dunque, in presenza di coloro che scelgono ( anche inconsapevolmente, viste le distrazioni di massa) di non interessarsi alla tutela di quel che ci circonda. Cosa poter pensare di fronte a certi comportamenti, spacciati per prevalenti e/o per maggioritari in questa malcapitata Italia? Le risposte a questa domanda implicano due differenti modi di azione, sintetizzabili traendo spunto da due differenti canzoni; il primo è un rendersi consapevoli della propria ( positiva) diversità ( per chi si interessa, logicamente):
"[...] Si sente sempre più spesso/ che sono un pazzo depresso./ Meglio depressi che stronzi del tipo / Me ne fotto,/ perché non dicono/ Io mi interesso?/ Che si incu.ino un cipresso, dunque,/ tanto il mio destino è stare solo con chiunque. [...]" ( La mia parte intollerante, Caparezza)
L'interessarsi il più concretamente possibile può comportare inevitabilmente il raggiungimento di forme di simil-depressione, in quanto troppo grande è la mole di problemi con cui è necessario scontrarsi ( in quanto altrettanto enorme è la volontà di sfuggire all'analfabetismo politico di cui sopra) per cercare di cambiare anche solo un minimo dello schifo circostante.
Farsi scivolare addosso l'inconsapevolezza e l'inettitudine di alcuni per rendersi un poco più consapevoli della propria diversità.
Può bastare questo ad innescare un cambiamento?
Assolutamente no, sotto tutti i punti di vista possibili.
Differente è il secondo modo di azione, sintetizzabile mediante la citazione che segue:
"[...] Spero soltanto di stare tra gli uomini/ che l'ignoranza non la spunterà/ che smetteremo di essere complici/ che cambieremo chi deciderà./ Italia d'oro frutto del lavoro cinta dall'alloro/ trovati una scusa tu se lo puoi/ Italia nera sotto la bandiera vecchia vivandiera te ne sbatti di noi [...] Fratelli d'Italia, l'Italia s'è desta/ dell'elmo di Scipio s'è cinta la testa [...]" ( Italia d'oro, P.Bertoli)
Implorare che l'ignoranza non la spunti equivale ad innescare una ( pro)positiva rivoluzione, provando a mobilitare ( con uno sforzo tanto forte quanto sottovalutato, ignorato, svilito, respinto, deprecato, [...]) nel concreto le persone ad agire.
Agire per non lasciare che i problemi del Paese si trasformino in cancri capaci di uccidere presente e futuro delle collettività, appunto.
Il segreto sembra essere, indipendentemente dalle posizioni e dalle ide( ologi)e politiche, sempre lo stesso: non lasciarsi sfuggire addosso nulla ( o quasi). Sentire ciò che non va, interessarsi, capire come sventrare i problemi in maniera costruttiva e non da tagliatore di teste.
Evitare populismo e demagogia, tanto desiderati da certi per svilire la dignità di interlocutori ribelli.
A dove può condurre questo atteggiamento?
Rimanendo nel limbo delle citazioni, è possibile rispondersi concretamente rievocando una massima attribuita ad Ernesto Guevara:
" Studiate molto per padroneggiare la tecnica, che permette di dominare la natura.
Ricordatevi che è la Rivoluzione a essere importante e che ciascuno di noi, preso isolatamente, non vale nulla. Soprattutto, nel più profondo di voi stessi, siate capaci di sentire ogni ingiustizia commessa contro chiunque in qualunque parte del mondo.
È la più bella qualità del rivoluzionario."
Essere rivoluzionari significa, quindi, reagire allo status quo per provare a ( ri)costruire e/o migliorare quella tanta parte di mondo che non va avanti come dovrebbe. In altre parole, pertanto, reagire in maniera costruttiva al senso di inadeguatezza che pervade i singoli uomini di fronte a problemi più grandi di loro. Cosa può accadere al singolo, invece, qualora l'intento di miglioramento non venga esercitato adeguatamente? A questo proposito risponde una citazione proveniente da un'altra canzone italiana, di non troppo tempo fa:
"[...] Questo è il veleno che ci vogliono inoculare,/ non esiste antidoto è la morte mentale,/ opponi resistenza non farti plagiare/ se non ti vuoi ridurre in uno stato terminale/ nella stasi comatosa di chi e' incapace di pensare/ e preferisce lamentarsi se qualcosa gli va male./ Agire, pensare, parlare,/ esplorare ogni capanna del villaggio globale,/ spalancare le finestre alla comunicazione personale,/ aprire il canale universale,/ dare fondo all'arsenale di parole soffocate dalle ragnatele/ di un'intera generazione di silenzio [...]" ( Potere alla parola, Frankie Hi-Nrg)
Interessarsi, dunque, è complicato. E' complicato ma conviene, per una innumerevole serie di ragioni e motivazioni anche ( e/o soprattutto) di tranquillità tanto amara quanto personale. Potersi dire qualcosa del tipo " Non è andata, almeno ci ho provato".
Sempre meglio dell'essersi beatamente crogiolati in una dimensione parallela di nulla estremo, fingendo che nulla di quel che sta attorno possa toccare/influenzare concretamente le nostre vite.
E' questo il tratto fondamentale che sembra articolarsi dietro al libro di Francesco Piccolo, intitolato " Il desiderio di essere come tutti".
Al netto delle diversità e delle possibilità interpretative, è interessante vedere come e quanto l'interessarsi alle situazioni possa costituire una vicenda capace di incarnare una sorta di ri-nascita per chi ha onore ( ed onere) di viverla intensamente:
"[...] Sono nato in un giorno di inizio estate del 1973, a nove anni.
Fino a quel momento la mia vita, e tutti i fatti che accadevano nel mondo, erano due entità separate, che non potevano incontrarsi in nessun modo.
Me ne stavo nella mia casa, nel mio cortile, nella mia città; con i miei genitori, i miei fratelli, i compagni di scuola, i parenti e gli amici - e in un altro pianeta accadevano i fatti che guardavo in televisione.
Ogni tanto i grandi ne parlavano, del mondo e dell'Italia in particolare; quindi c'era interesse verso quel che accadeva al di fuori della nostra vita.
Ma noi tutti, in ogni caso, non c'entravamo niente. E io, ancora meno. [...]"
L'analisi delle vicende dipanate nell'opera in questione si propone di descrivere, nei fatti, quanto la vita ( pura ed impura) di tutti i giorni possa sentirsi indissolubilmente legata a vicende largamente superiori che la governano. E' una realtà tanto difficile quanto inevitabile da percepire.
Chi non la sente è perché è freddato, distratto e/o volutamente forzato nell'ignorarla.
Ignorandola ne continuerà a subire però i tremendi e devastanti effetti, sulla pelle.
In maniera diretta e radicale. Ad un certo punto, per ragioni che per motivi di sintesi è lecito non spiegare, il protagonista raccoglie lo spunto per comprendere come la propria vita e le vicende socio-politico-economiche-[...] del proprio Paese siano sullo stesso binario.
Stanno percorrendo la stessa strada, con una differenza in più: le vicende socio-politico-economiche-[...] possono far deragliare il vagone della sua dimensione esistenziale, della sua vita, della sua libertà. Senza colpo ferire, senza fare poi molta fatica.
Un colpetto e via, basta davvero poco. Questa amara consapevolezza innesca una reazione.
Reazione necessaria, funzionale ai tempi, di ribellione costruttiva.
La dimensione di una vita intersecata tanto strettamente quanto inevitabilmente alle cronache, ai tempi che corrono, ai danni ed ai benefici che chi governa e gestisce il potere ( sia tecnico che politico, senza distinzione) può regalare ( o relegare, a seconda dei punti di vista e dei guai generabili). Alla fine della propria presa di consapevolezza interiore, l'autore cerca di proporsi la possibilità di andare oltre la propria stessa dimensione individuale.
Migliorandosi, prova a migliorare anche quel che ha attorno: cercando di realizzare il titolo del libro, non a caso.
Il desiderio di essere come tutti.
Oppure il suo desiderio che tutti siano come lui ha provato ( magari senza il successo sperato?) ad essere? L'entità dei problemi è tanto grande quanto forse insormontabile, per un singolo.
Lo è forse un pochino meno per tanti singoli che scelgono di mettersi ( costruttivamente) insieme, per il tanto puro quanto forse impossibile desiderio di cambiare in meglio le cose.
La teoria è, su questo fronte, molto frenata dal corso pratico delle cose.
Tanto frenata quanto incancrenita, appunto; per una politica fatta di compromessi rivolti eternamente al ribasso, per una politica ( ed una tecnica) dove l'interesse di pochi viene messo spesso avanti ( soprattutto) grazie all'ignoranza di altr( ettant)i che non hanno per tempo esercitato il proprio diritto di fermarli. Una politica ( ed una tecnica) dove il merito viene percepito come un'utopia, dove la meritocrazia finisce per ( con)fondersi con una gerontocrazia non solo anagrafica ma ( soprattutto?) cerebrale. Una politica ( ed una tecnica) che prima illude e poi delude, una politica che ha per troppo tempo finto di raccontare le ( r)esistenti verità. Una politica ( ed una tecnica) figlia di logiche illogiche può soffocare, appunto, sia l'individuale ricerca della verità che quel desiderio di essere come tutti riassunto tanto efficacemente dall'autore dell'opera in questione.
In ogni caso, però, dal destino comune consegnato dall'ignoranza generalizzata non è possibile sfuggire:
"[...] Se riesco a percepire il buio che c'è dentro di me, le somiglianze con ciò che non mi piace; se riesco a concepire un'affinità con chi è lontano; se riesco a comprendere quanto sono coinvolto in ciò che non amo, che non mi piace, che di solito accuso come se non mi appartenesse - quella è la strada concreta, reale, per combattere con limpidezza ed efficacia.
L'abitudine è quella di sentirsi estranei agli errori, estranei alle brutture del Paese.
L'estraneità rende impermeabile la conoscenza, e senza conoscere le ragioni degli altri, non si può combatterle. [...]"
Al netto dei diversi punti di vista, riguardo all'opera in questione ma non solo, interessarsi conviene.
Gli esiti del mancato interessamento collettivo sono, nella sola Italia, sotto gli occhi di tutti: un Paese distrutto, appunto.