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Il destino dei blog italiani

Da Casarrubea
To blog or not to blog, this is the question

To blog or not to blog, this is the question

Mentre nel mondo si sviluppano sempre più gli spazi di libertà nella comunicazione, quelli, per intenderci, che hanno consentito la cosiddetta rivoluzione della primavera araba, o quegli altri di alcuni Paesi, come l’Islanda, che stanno cercando di favorire il libero e gratuito accesso alle più svariate forme di comunicazione internet, in Italia, ancora oggi, si mandano sotto processo i blogger con il pretesto che sono proprietari di testate giornalistiche e, pertanto, vanno soggetti alle leggi sulla stampa. Quelle, che risalgono all’epoca fascista e che a suo tempo, nel 1948, furono fatte proprie dal nascente Stato democratico e repubblicano. Se così dovesse essere – come sta succedendo in questi giorni al nostro amico Carlo Ruta - la libertà di informazione verrebbe gravemente lesa e l’Italia rischierebbe di tornare ad essere un Paese sottoposto a censura, con una pesante limitazione dei diritti, costituzionalmente sanciti. (GC)

di Angelo Greco* 

Questo giovedì (10 maggio 2012), la Cassazione deciderà della sorte di gran parte dei blog italiani. I giudici chiariranno se ogni sito di informazione periodica (a prescindere dall’impostazione formale: dunque, tanto i portali quanto i semplici blog) debba essere soggetto alla legge sull’editoria (1): con il conseguente obbligo di registrazione in Tribunale e della nomina di un direttore responsabile. In caso di mancato rispetto di tali regole, si verrà processati per il reato di stampa clandestina, con pene detentive fino a due anni.

 Sembra uno scenario apocalittico, frutto di un allarmismo che spesso, ex post, per vicende simili, è risultato ingiustificato. Ma, per quanto incredibile possa sembrare, le libertà del web e del 90% dell’informazione online potrebbero essere definitivamente spezzate da questa sentenza.

 Una minaccia tutt’altro che improbabile, atteso che già i due precedenti gradi di giudizio avevano condannato Carlo Ruta (il giornalista coinvolto in questa vicenda) per non aver registrato il proprio blog “accadeinsicilia.

 Cosa cambierà, dunque, se la Suprema Corte dovesse accogliere l’interpretazione già data in primo e secondo grado?

Ogni blog che venga aggiornato periodicamente (ossia, non necessariamente ogni giorno, ma comunque in modo continuo e senza lunghe interruzioni) dovrebbe nominare, pagandolo, un direttore responsabile; quindi, dopo aver corrisposto i relativi balzelli allo Stato, registrare la “testata” in tribunale.

La conseguenza immediata potrebbe essere l’autocensura di gran parte dell’informazione o, addirittura, la chiusura di un gran numero di blog, costruiti solo con il lavoro personale del blogger, e senza alcuna finalità di lucro. I costi e i rischi diverrebbero infatti ingiustificati per tutta la piccola utenza di internet.

 Mi tranquillizza solo il fatto che, già in passato, la Cassazione aveva rifiutato l’equiparazione tra carta telematica e carta stampata. Ciò perché, nel nostro ordinamento, non è possibile far ricorso all’analogia (nel caso di specie, analogia tra un giornale online e uno tradizionale) per colmare delle lacune normative, qualora da ciò ne derivi una condanna dell’imputato. I giudici dovrebbero riconoscere che la legge, nell’imporre la registrazione in tribunale, non parla esplicitamente di blog; né potrebbero considerare tale previsione come implicita nella norma. Infatti, ogni decisione sfavorevole all’imputato non può fondarsi su un’interpretazione analogica della legge, ma deve trovare una esplicita previsione.

 Un altro scenario che si potrebbe profilare è quello di una assoluzione per prescrizione. In tal caso, la Cassazione salverebbe capra e cavoli, rinviando la patata bollente ai rappresentanti del popolo.

 Certo è che il web, in questo assurdo caso di censura, ne risulterebbe vincitore solo in caso di una assoluzione piena: un’assoluzione dovuta, se si tiene conto delle inaccettabili argomentazioni fornite dalla Corte di Appello di Catania. Quest’ultima ha affermato che il sito di Ruta aveva “un preciso valore e contenuto giornalistico ed informativo” in quanto denominato “giornale di informazione civile” (equiparabile ad una testata giornalistica). Secondo la Corte di Appello, dunque, il nome dato a un documento prevale sulla sua sostanza, circostanza invece che ogni testo universitario del primo anno di giurisprudenza smentisce sin dalla prima pagina. Come a dire che, se sto mangiando pane e prosciutto, e invece lo chiamo “tiramisù”, allora bisogna ammettere che effettivamente sto addentando un dolce…

Ancora – secondo la Corte di Appello – il blog di Ruta era un “giornale tradizionale” in quanto caratterizzato da una “diffusione, a carattere periodico e con struttura e tipologia grafica proprio della carta stampata a carattere giornalistico”.

Anche in questo caso, bisognerebbe spiegare ai magistrati che ogni sito internet ha già di per sé una diffusione planetaria. Inoltre il carattere distintivo del web 2.0 è proprio la sua interattività e dinamicità: così vengono aggiornati quotidianamente non solo i blog, ma anche le bacheche di Facebook, i canali YouTube, i post nei forum. Impedire ciò, vorrebbe dire riportare la rete a oltre 15 anni fa.

 Passaggi “logici” che si commentano da sé e che non necessitano di altre spiegazioni per comprendere quanto le aule dei tribunali abbiano bisogno di persone più a contatto con la realtà informatica.

  * Avvocato del Foro di Cosenza

(1) La Legge n. 47 del 1948.


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