Niccolò Paganini, violinista di straordinaria facilità compositiva e abilità tecnica
Un bambino prodigio. E poi, come spesso non accade, un
adulto prodigio. Violinista di straordinaria facilità compositiva e abilità
tecnica, capace di tenere un intero concerto suonando su una corda sola e di
imitare col violino i versi di tutti gli animali, Nicolò Paganini fu uno dei
musicisti più amati e odiati dell’800. Bello non era certo, con una testa
troppo grande per il corpo, una spalla più alta dell’altra, naso a becco e
capelli arruffati, e poi… che caratteraccio! Da buon genovese non vedeva che le
‘palanche’ ed era tormentato da un’eccitazione nervosa eccessiva.
Ma le donne,
chissà com’è, sono attratte dal ‘diabolico’ e la vita del Paganini artista,
genio dell’improvvisazione, viene sempre ricordata accanto a quella del
Paganini uomo corteggiato e tombeur de femme (purtroppo per lui anche di
minorenni, con tutte le conseguenze del caso). Fatto sta che una salute
cagionevole sin da giovane si trasforma in un vero inferno di sofferenze dopo
che il nostro dongiovanni ormai quarantenne contrae la sifilide.
I biografi
sostengono che non sia stata colpa delle numerose fidanzate ufficiali, tutte
brave ragazze, o signore. Sicuramente una tendenza costituzionale era già
presente: le asimmetrie scheletriche, il naso a sella, l’iperestensione delle
dita che gli permetteva qualsiasi virtuosismo tecnico, l’instabilità
psico-fisica, sono tutti segni di una costituzione fluorica, espressione
fenotipica del miasma luetico. Da quel momento comincia per lui una odissea
della salute degna dei nostri tempi, con la differenza che le terapie di allora
erano assolutamente empiriche, come aveva ben compreso, e criticato, Hahnemann.
Così, in giro prima per l’Italia poi per l’Europa a dare concerti, si fa ‘curare’,
con disastrose ripercussioni, dai massimi luminari. I mercuriali, che erano allora
la terapia d’obbligo, lo danneggiano irreparabilmente, provocandogli tra
l’altro la progressiva caduta dei denti. Poi ci si mettono anche l’oppio e i
salassi, il purgativo LeRoy (famoso per un’epigrafe tombale: “Stavo bene, volli
star meglio/presi il LeRoy ed eccomi qua”), e varie altre cure fantasiose.
Col passar del tempo la salute altalenante gli impedisce di
suonare in pubblico, ma non di continuare a sedurre giovani donne dovunque
vada. Nel 1837 approda a Parigi ancora una volta, in crisi artistica e
terribilmente sofferente di una faringite che lo rende afono. Altro giro di
illustri clinici, fra cui anche due famosi omeopati: Croserio e Hahnemann. Croserio
si dimostra più genovese di lui e gli chiede un onorario esorbitante, senza
peraltro migliorare la situazione. Col ‘Maestro’ è un’altra storia.
A quanto
pare (da una lettera ritrovata fra le carte di Paganini), egli prende
un’ulteriore cantonata per Melanie, la giovane moglie di Hahnemann, che lo
assiste in tutte le visite. Mentre segue la terapia di lui a base di Sulphur prima
e Pulsatilla poi, scrive a lei parole ardenti. Ma la passione non è ricambiata,
la lettera rispedita al mittente, la cura interrotta. Avrebbe potuto fare
qualcosa il grande omeopata per alleviare i suoi tormenti? Forse, ma la cura
sarebbe stata lunga e chissà se l’inquieto Paganini avrebbe avuto pazienza e,
soprattutto, avrebbe evitato altre gaffe.
In fuga dal clima malsano di Parigi, da investimenti
sbagliati, dal declino artistico, e forse anche da rifiuti amorosi, torna a
Genova, ma è a Nizza, città di riviera nota per il clima mite, che muore due
anni e molte sofferenze dopo, accusato ingiustamente di empietà per aver detto
(non si sa come, dato che era completamente afono) di non voler ricevere i
conforti religiosi. Diabolico fino alla fine.