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Il diavolo nell’arte medievale: un esorcismo per via estetica

Creato il 30 dicembre 2011 da Senziaguarna

di Raffaele Iannuzzi

Nella ventesima scena della Vita di S. Francesco, dipinta da Giotto nella Basilica superiore di Assisi, scoperto il profilo del diavolo.

Il diavolo nell’arte medievale: un esorcismo per via estetica

Profilo di demone appena scoperto all'interno della XX scena della Vita di San Francesco, Giotto, Basilica Superiore di Assisi.

L’arte reca con sé una fenomenologia di percezioni del demoniaco. In uno degli affreschi più originariamente determinanti dell’arte figurativa occidentale, nella ventesima scena della Vita di San Francesco, dipinta da Giotto nella Basilica superiore di Assisi, è stata scoperta dalla storica Chiara Frugoni – autrice di numerosi studi sul Patrono d’Italia e sul movimento francescano – il profilo del diavolo, con due corna scure, emergente dalle nuvole sospese fra la scena della morte di San Francesco, in basso, e la scena dell’assunzione della sua anima in cielo.
Da otto secoli questa figura si staglia, misteriosamente, tra l’alto e il basso di un’opera interamente dedicata – un monumento catechetico – alla vita di un Santo così radicalmente legato alla figura di Gesù Cristo da essere considerato, già in vita, un Alter Christus. L’arte ri-vela – dunque vela e indica – ripete, reitera quel percorso di conoscenza tra le vette della realtà trascendente e l’abisso del male, il mondo degli inferi, materia trattata dalla Chiesa con magistrale strumentazione catechetica attraverso i cicli degli affreschi commissionati da geni dell’arte come Giotto. Padre Enzo Fortunato, direttore della Sala Stampa del Sacro Convento di Assisi, ha osservato acutamente: «Questa scoperta può farci comprendere a livello catechetico l’importanza di oggettivare il male per non accoglierlo nella propria vita».
Ecco, la cifra della questione: oggettivare il male. L’arte figurativa medievale oggettiva il male, al fine di indicare all’uomo la Verità del Bene. Nei primi secoli cristiani, fino al IX secolo circa, il diavolo ha fattezze umanoidi, un suo profilo che manifesta una bruttezza esasperata ed esasperante: un essere piccolo e deforme, un vecchio inquietante, una creatura con gli artigli ai piedi. C’è l’idea che il diavolo sia un essere de-formato, una non-persona. Non un astratto «male» non meglio identificato e identificabile. A partire dall’XI secolo, Satana diventa un mostro, e inizia il ciclo teratologico di serpenti, gatti, caproni e pipistrelli. Il capro è il capro espiatorio del Levitico (Lv 16), mandato nel deserto al demonio Azazel.
Il carattere grottesco e quasi infantilmente burlesco – secondo il criterio spirituale secondo il quale deridere il diavolo che tenta sia uno dei metodi per sottrargli l’imperio del suo giudizio sulla vita umana – predomina. Gli esempi sono molti: il Giudizio Universale di Giotto nella Cappella Scrovegni a Padova è un esempio fra i tanti. Il Satàn è il giudice che cerca di appropriarsi della veste giudicante di Dio, imponendo ad ogni accadimento umano il termine del tribunale della scissione interna all’anima. Il diavolo è il separatore, colui che, pretendendo di giudicare, prima deve dividere e far crollare, come dice il Vangelo, l’impero interiore dell’uomo, strappandogli l’unità, infine egemonizzare la vita e gli accadimenti storici prodotti dagli esseri umani.
Raffigurare questa bestialità con effetti spirituali portava costantemente a derubricare la figura umana nel suo splendore di creatura voluta e amata da Dio, per riavvitare la spirale iconografica attorno al deforme e al mostruoso. Così da rendere straniero e, dunque, estraneo al mondo il «nemico della natura umana», per dirla con Sant’Ignazio di Loyola. Una sorta di esorcismo per via estetica. È il tema del grande libro del geniale filosofo Enrico Castelli, Il demoniaco nell’arte (1952), in cui le allegorie del trittico del fiammingo Hieronymus Bosch, «Le tentazioni di Sant’Antonio», costituiscono il paradigma di una rappresentazione della realtà del diavolo come presenza storica, celata tra le pieghe del quotidiano. Qui il diavolo non è il male astratto, ma la non-persona di cui ragionava Joseph Ratzinger negli anni ’70, in un celebre saggio – «Liquidazione del diavolo?» -, in polemica con quella teologia progressista che vedeva il diavolo come un principio astratto e impersonale. Non è così, tant’è vero che le sue corna di capro si sono intraviste in un affresco della vita francescana di ben di otto secoli fa.

da “Il Tempo”, 07/11/2011.



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