Se smetti l'orologio a lancette e ti cingi di un precisissimo cronometro al quarzo perderai di vista le ore e guarderai ai minuti e ai secondi.
La cosa non è solo una banale notazione. Qualcosa è cambiato nella concezione del tempo e non soltanto per l'introduzione dei cronometri da polso. Già all'epoca della prima rivoluzione industriale vi era, nella misura del tempo, uno stretto rapporto tra società e fabbrica. Comparivano allora nei taschini dei borghesi gli orologi, e nel contempo si educavano gli operai alla nascente disciplina di fabbrica mediante la regolamentazione del tempo.
Oggi l'informatica cambia non solo i modi del lavorare, ma anche la concezione del tempo entro cui il lavoro si svolge. Ecco dunque una storia da fare: quella del tempo. La misura precisa del tempo, è il risultato della civiltà mercantile e urbana. «Il campanile - scrive Camporesi - simbolo del rapporto fra l'alto e il basso, fra il vertice e l'orizzontale, punto di sorveglianza e di controllo del lavoro servile, apre una dimensione nuova fra il tempo e la torre, fra il piano e gli strumenti di scansione del tempo-preghiera e del tempo-lavoro». La storia del tempo è dunque intrecciata a quella del lavoro e alle sue forme di dominio.
La sua nozione pessimistica, trasmessaci dal Rinascimento e dal Barocco (il tempo «annienta tutto ciò che esiste»), non è estranea a questa visione moderna del tempo. Nel «tempo del mercante» il giorno subisce una accelerazione, diviene calcolabile. Le ore vengono divise fra ore del giorno e ore della notte, e subentra la paura della morte, come effetto di questa materializzazione del computo delle ore. Il tempo non è più di Dio, e, come scrive Leon Battista Alberti, tre cose appartengono all'uomo: l'anima, il corpo e il tempo. Già nella seconda metà del '300 si parla di «perdita di tempo» e del dovere «di conservare il tempo». Esso è come il talento della parabola evangelica che può andare perso: il tempo è denaro.
Agli albori della rivoluzione industriale i puritani diffondono questa nozione, e R. Baxter nel suo Direttorio Cristiano (1673), un libro diretto a mercanti e commercianti, parla del tempo come moneta. Esistono manuali che incitano i borghesi ad alzarsi presto, a vestirsi in fretta e a usare in ogni dettaglio bene il proprio tempo. L'appello alla disciplina del tempo, insieme alla continenza, alla probità economica e sessuale, si dirige principalmente verso la borghesia, il tesaurizzatore del tempo è — scrive Marx — il «martire del valore di scambio, come santo asceta sulla sommità della colonna metallica... Egli va in estasi pel valore di scambio e perciò non scambia nulla... Nella sua immaginaria smania di piacere illimitato egli rinuncia a tutti i piaceri. Siccome egli vuole soddisfare tutti i bisogni sociali, soddisfa a mala pena il naturale bisogno corporale» (Per la critica dell'economia politica). Questo ritratto corrisponde perfettamente a quello del “borghese anale” di Freud, per cui esiste uno stretto rapporto tra denaro, tempo e merda. Trattenere è infatti il suo Vangelo.
Ma lo spirito capitalista si estende anche al lavoro operaio. E se è anche vero che la determinazione del tempo come denaro precede l'uso generalizzato degli orologi, è l'orologio del padrone che controlla il tempo operaio. Si irreggimenta la settimana lavorativa, imponendo la fine di ritmi irregolari di lavoro e contemporaneamente si impone il lavoro di fabbrica. Attorno al 1770 un tale Wedgwood inventa persino il sistema del cartellino orario.
La borghesia che ha sperimentato su di sé le tecniche di disciplina, le estende al nascente proletariato. Sono le tecniche di individualizzazione, frutto della moderna ragione, attraverso cui la legge del valore tende a produrre ad assoggettare i corpi borghesi ed operai. Il tempo del mercante è divenuto il tempo della produzione. Nella fabbrica si introducono le multe, gli informatori, i campanelli e i tempisti. La prima generazione dei lavoratori di fabbrica è dedicata all'importanza del tempo, la seconda si impegna nella battaglia delle dieci ore, la terza, che ha imparato, a proprie spese, che il tempo è denaro, combatte contro lo straordinario (E. P. Thompson). Il tempo è in rapporto con i gesti, è un tempo meccanico. Del resto la prima macchina è costituita dall'insieme degli operai, dal loro lavorare insieme nella fabbrica. Marx ci spiega che la distinzione tra plus valore assoluto, quello ottenuto dall'allungamento del tempo del pluslavoro (aumento della durata del lavoro) o dall'aumento dell'intensità del lavoro, e plusvalore relativo, quello ottenuto mediante la diminuzione del tempo di lavoro necessario mediante l'aumento della produttività, poggia sulla concezione del tempo. La lotta operaia contro l'allungamento del tempo imporrà l'aumento della produttività. Il capitale affianca perciò alla «macchina operaia» le macchine capitaliste. La resistenza ad esse è già iniziata.
Nel 1826 ad Accrington in Inghilterra, durante una rivolta operaia, la prima cosa che viene distrutta nella fabbrica — ed è una donna a farlo — è l'orologio. Ma il tempo della produzione si estende ovunque, dalla fabbrica alla città, e — come ricorda Walter Benjamin — durante la Comune di Parigi alla sera del primo giorno di battaglia in molti luoghi della città, e indipendentemente, si sparò contro gli orologi delle torri.
Il Capitale, attraverso le macchine, «prolunga la giornata aldilà di ogni limite naturale» (Marx). Con l'epoca imperialista si ha ulteriore punto di svolta; infatti non solo il tempo è denaro ma anche il denaro è tempo. Siamo nell'epoca dell'apertura mondiale del mercati, e il consumo inizia ad acquistare un peso preponderante. C'è un romanzo — come suggerisce in un suo saggio Beniamino Placido — che schematizza questa formula: Il viaggio intorno al mondo in 80 giorni di Jules Verne. Il protagonista Phileas Fogg, moderno borghese, in lotta contro il tempo per scommessa, acquista tempo attraverso il denaro per giungere prima al traguardo.
Il denaro accumulato compra il tempo, e quest'ultimo, entità astratta, si può proprio acquistare: «il denaro diviene misura del tempo. Borges ha raffigurato il rapporto fra denaro e tempo in un suo racconto, Lo Zahir. All'autore è capitata tra le mani una moneta argentina da venti centesimi, lo Zahir appunto: «insonne, invasato, quasi felice, pensai che nulla è meno materiale del denaro, giacché qualsiasi moneta (una moneta da venti centesimi, ad esempio) è, a rigore, un repertorio di futuri possibili. Il denaro è un ente astratto, ripetei, è tempo futuro. Può essere un pomeriggio in campagna, può essere musica di Brahms, può essere carte geografiche, può essere gioco di scacchi, può essere caffè, può essere le parole di Epitteto, che insegnano il disprezzo dell'oro; è un Proteo più versatile di quello dell'isola di Pharos. È tempo imprevedibile, tempo di Bergson, non tempo rigido dell'islam o del Portico. I deterministi negano che ci sia al mondo un solo fatto possibile, id est un fatto che sia potuto accadere; una moneta simboleggia il libero arbitrio». E il tempo è una mercé, dunque può essere scambiato, sottoposto com'è all'equivalenza generale della forma di denaro. Col taylorismo e il fordismo il cronometro diviene lo strumento principale di produzione e si incorporano quantità sempre più piccole di tempo di lavoro in quantità sempre più grandi di prodotto.
Il tempo si rapporta ai movimenti, i minuti ai centimetri, è l'inizio di una scienza del ritmo; si riunificano così spazio e tempo, e il lavoro diviene pura ripetizione di movimenti ideali in tempi ideali. Non si sorveglia più, ma si modella il corpo operaio attraverso le lancette, il tempo è interiorizzato. Esso diviene ossessivo, e il cronometro, «strumento politico di dominio sul lavoro» (Coriant), segmentando sempre più precisamente unità sempre più piccole, annulla il tempo. Il lavoro è ripetizione infinita, ripetitività senza progressione. Con un paradosso si può dire che il cronometro rintroduce nella fabbrica, che è il cuore della modernità, il tempo ossessivo tipico delle forme arcaiche di civiltà. Alla catena, in una coazione a ripetere, il tempo produce il corpo operaio e insieme è prodotto come mercé. Le macchine, hanno modificato la concezione del tempo, e non esiste un tempo sottratto al dominio del capitale. Chi ha più denaro può acquistare più tempo libero, che è il surrogato moderno del piacere. Il tempo del capitale si estende ovunque tanto che il tempo di non lavoro alimenta esso stesso il suo processo di ampliamento.
- Marco Belpoliti - da “il manifesto”, 26 marzo 1981 -