Il dilemma della sinistra del Terzo Millennio.

Creato il 09 agosto 2012 da Cristiana

A me questo fatto della dismissione immobiliare del Paese per salvare il debito proprio non mi va giù.

Come non mi va giù l’idea di vendere le aziende pubbliche legate ai bisogni primari (luce, acqua, produzione di energia), perché chi le mette in vendita sono gli stessi che se le possono comprare o sono i sodali di quelli che possono farlo.

C’è una sorta di conflitto di interessi che rende la privatizzazione una sorta di amplificatore dell’ingiustizia sociale. Perché le cose vengono svendute perché vengono considerate un peso, vengono acquistate da chi se le può permettere ed infine (quasi sempre) le fa fruttare.

Eppure è proprio qui il nodo della sinistra odierna: si gioca tutto sul filo sottile che lega insieme tutta una serie di questioni quali il libero mercato, la competitività, l’ efficienza e la meritocrazia delle aziende pubbliche.

I due sistemi che si sono combattuti nel secolo scorso erano uno liberale e liberista, l’altro statalista e monopolista. Da una parte il mercato libero, la proprietà privata, la libera impresa, dall’altra le aziende di Stato, il lavoro per tutti, forse troppi. Quel dualismo non sta più in piedi e non c’era Paese meglio del nostro che vivesse questa dialettica meglio di altri.

Le aziende pubbliche oggi sono il modo con cui oggi la politica di ogni colore foraggia e premia i sodali più poveri, la massa. Storicamente poi il PCI che amministrava i comuni e le regioni ha foraggiato i costruttori locali (cosiddetti palazzinari di sinistra), ha gestito le aziende pubbliche a dimensione comunale e regionale, la DC oltre a queste cose ha governato pensando anche agli industriali. Sto tagliando con l’accetta e non sto dando alcun giudizio di merito. In alcuni casi, alcune cose, sono persino state fatte bene.

Nelle aziende pubbliche non c’è lo stress del fatturato e nemmeno dell’efficienza delle risorse umane e tecnologiche. Così le aziende pubbliche divengono una fonte di perdita per i comuni e lo Stato e quindi arrivano al punto da dovere essere vendute. Una volta vendute a basso costo, il privato risistema l’azienda, manda via qualcuno, assume persone valide, fa fruttare l’azienda, magari alza anche le tariffe più del dovuto, tanto ormai è sua.

Domanda: non sarebbe arrivato il tempo di mettere mano alle aziende pubbliche in modo efficiente per farle funzionare anche a costo di cominciare a cacciare chi non fa niente, dando obiettivi ai dirigenti pubblici e selezionandoli non con criteri politici? Difendere i lavoratori – in modo indistinto, intendo, e quando capita – non è condannare l’azienda al fallimento e quindi obbligare alla privatizzazione? Siamo davvero così sicuri che nella maggior parte dei casi azienda pubblica significa perdita e azienda privata significa profitto? Insomma siamo sicuri che nella catena del funzionamento delle cose, nell’intervento di sindacati e partiti di sinistra non ci sia nulla da rivedere? Non dobbiamo fare nessuna autocoscienza? Non è meglio assumere qualcuno in meno e farlo con dei criteri che assumere chiunque e poi difenderlo in quanto “lavoratore” a prescindere da come lavora? E se difendiamo il lavoratore, in quel caso, stiamo difendendo il Lavoro? Il lavoratore fa difeso sempre o come accade in Germania sono gli stessi sindacati che per conservare autorevolezza isolano gli elementi che non lavorano come gli altri (non per limiti fisici, ovviamente), creando un sistema virtuoso di controllo interno?

Sono consapevole che toccare questo tasto è scoperchiare il vaso di Pandora. Per questo ho preso un tema caro alla sinistra, quello delle privatizzazioni. Insomma siamo convinti che non si possa rifondare la sinistra del nuovo millennio su una spina dorsale liberale ma non liberista?

Competitiva, ma equa.

Insomma quella famosa terza via mai ancora davvero imbroccata, che comporta una diffusione della ricchezza e delle responsabilità. Una sorta di partecipazione responsabile.

Tutte queste caserme da dismettere non potrebbero essere ristrutturate e parcellizzate e riqualificate e “distribuite” a più acquirenti?

Tutti questi immobili di pregio non potrebbero diventare dimore storiche i cui proventi li intaschi lo Stato? Quanto lavoro potrebbero dare in un Paese come il nostro che è un giacimento turistico inutilizzato? O non possono diventare, in parte, luoghi dove gli artisti creano, studiano, dipingono, pensano?

Le Case Cantoniere non potrebbero diventare luoghi per viaggiatori lowcost, magari gestite dai giovani locali con borse da assegnare ogni anno?

E non potremmo fare il servizio civile obbligatorio tutti, magari di 8 mesi, maschi e femmine e lavorare tutti un po’ a questo Paese, crescere, studiare, mischiare i dialetti come si faceva da militari? Non ci farebbe bene a tutti uscire dal nucleo famigliare, un calcio nel sedere a 18 anni, che faceva tanto bene almeno a maturare un po’ anche se era brutto farlo da militare, agli ordini, in divisa.

Insomma non c’è una via di sinistra alla costruzione ed alla cura del Paese? Non c’è un modo più collettivo di far funzionare le cose senza evocare il socialismo? E non c’è un modo più efficiente di far funzionare le cose senza evocare la Thatcher o Reagan?


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