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Leggendo la godibilissima ultima fatica letteraria di Pietrangelo Buttafuoco ("Fuochi"), ho conosciuto una figura straordinaria della quale ignoravo l'esistenza: il barone Roman Fedorovic von Ungern-Sternberg.La semi-clandestinità del personaggio, ho poi appurato, è ampiamente spiegabile. Si tratta, infatti, di una figura storica che ha militato nella parte politicamente "sbagliata" e quindi per lunghissimi anni, fino a quando non è sopraggiunta la morte delle ideologie, di lui quasi nessuno ha parlato (ma non Hugo Pratt che, invece, l'ha reso protagonista di un albo di Corto Maltese).Incuriosito, ho acquistato una delle biografie del barone Ungern-Sternberg attualmente in commercio, quella intitolata "Il Dio della Guerra", scritta dal francese Jean Mabire.
Letta la biografia e raccolte qua e là ulteriori informazioni, ne è emerso un personaggio davvero leggendario.Nato in Austria nel 1886, crebbe a Tallin, in Estonia, e, pur appartenendo ad una famiglia di origine tedesca, divenne ufficiale dell'esercito zarista e partecipò alla Prima Guerra Mondiale.Dopo la Rivoluzione d'ottobre, trovandosi per ragioni di servizio nella parte orientale dell'Impero Russo, divenne il principale oppositore delle armate bolsceviche.Alla guida di un esercito composto da cosacchi, mongoli e buriati, tenne testa alle truppe rosse negli sterminati territori siberiani, conseguendo diverse vittorie nonostante l'inferiorità di uomini e mezzi."Odio l'uguaglianza. E' la menzogna dei profeti. Non vi è un solo popolo che assomigli a un altro popolo. Un solo uomo che assomigli a un altro uomo"; "Alla rivoluzione rossa, che vuole trasformare il genere umano in una massa indistinta, voglio opporre la volontà di restituire a ciascuno la propria personalità" : questo, in sintesi, il pensiero del barone Ungern-Sternberg.Consapevole, tuttavia, della progressiva e irreversibile decadenza del mondo occidentale e attratto dal misticismo orientale, iniziò a coltivare il sogno di ricreare l'immenso impero di Gengis Khan del quale cominciò a considerarsi la reincarnazione (per questo il barone fu conosciuto anche con l'appellativo di Ungern Khan).Conquistata la capitale della Mongolia (l'odierna Ulan Bator), nel marzo del 1921 riuscì a fondare un'effimera monarchia indipendente sia dai Russi che dai Cinesi, della quale divenne il capo militare e religioso.Pochi mesi dopo, un preponderante contingente militare bolscevico sconfisse l'esercito del barone in Mongolia. Dopo un vano tentativo di riportare la guerra all'interno del territorio russo, Ungern Khan nell'estate del 1921 fu catturato, processato e quindi condannato a morte per fucilazione. Poco prima di morire, il 15 settembre 1921, davanti al plotone d'esecuzione, inghiottì la medaglia che portava al collo raffigurante la Croce di San Giorgio, per impedire che i bolscevichi se ne appropriassero.Guerriero (anche sanguinario), signore della guerra, terrore degli eserciti avversari, eccentrico, avventuriero ma anche posseduto da un ineguagliabile senso dell'onore, da una mistica profonda e da un rigore monacale: tutto questo fu il barone Roman Fedorovic von Ungern-Sternberg."Diventare quello che si è e fare ciò che si deve": questo il motto del barone.
Una missione impossibile nell'occidente ormai irreversibilmente corrotto: da lì il fascino dell'oriente.
Una biografia che consiglio di leggere.
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