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Il ‘diritto’ nazista al soccorso della ‘trattativa’

Creato il 26 ottobre 2015 da Goodmorningsicilia

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Riceviamo e pubblichiamo

Nello sconquasso dell’Antimafia affaristico-confiscatoria palermitana, deve essere balenato anche nei cervelli più ottusi del Komeinismo locale qualche dubbio sulla sorte del processo per la cosiddetta trattativaStato-Mafia.
Processo a carico di imputati e non imputati, accusati di aver tentato di subire, in proprio e quali rappresentanti dello Stato, le minacce della mafia.

Un processo in cui, impunemente, personaggi togati hanno gettato a destra e a manca e gettano palate di fango (ma, si potrebbe dire, buttano la merda nel ventilatore – scusate la mia senile propensione per la puntuale espressione dei concetti con il ricorso, al turpiloquio).

Sono costernati dal fatto che la pentola di “confiscopoli” si è scoperchiata, offuscando, malgrado gli sforzi della stampa, del C.S.M., dei politici, di minimizzare il fetore che ne è scaturito, l’efficacia mediatica del “bidone” contenente (o meglio: avente contenuto) ben centocinquanta chili, anzi, preferibilmente duecento, con i quali, secondo le istruzioni scritte in caratteri fenici di Riina, la mafia dovrebbe uccidere Di Matteo, conferendo così valore sacro alle sue tesi giuridiche.

Qualcuno di questa singolare scuola di pensiero politico-giuridico (si fa naturalmente per dire) comincia a rendersi conto che non è questione di bidoni e non basta sbraitare contro oscuri “livelli criminali”, che oramai la gente ha cominciato ad identificare proprio con una certa creme dell’Antimafia.

Annaspano alla ricerca di nuove giaculatorie, di nuovi idoli, man mano che cadono sconciamente quelli che hanno adorato incondizionatamente in passato.
Quelli che seguono più da vicino le manifestazioni degli umori antimafiosi, notano che oramai anche tra di loro non c’è più riguardo alcuno per quelli che erano stati gli oracoli della cosiddetta “legalità” antimafiosa, tanti sono stati quelli che sono diventati indifendibili.

Oramai solo due sono gli “intoccabili” per la tifoseria “antimafia”: Di Matteo e Ciancimino.
Già, proprio questo grottesco personaggio il cui “pentimento” rincorre sempre nuovi delitti compiuti anche nell’esercizio delle sue collaborative funzioni, ma che per i suoi fans palermitani è la voce della nuova storiografia romanzata d’Italia, il perno delle funamboliche costruzioni di una scenografia grottesca dei riti delle confraternite antimafiose.

E, intanto, si fa sentire anche sul piano delle “ideologie”, delle manipolazioni teologali del diritto e dei processi in base ad esse impiantati, il vento della preoccupazione, che preannunzia il panico per catastrofi non più facilmente evitabili.

Il P.G. Patronaggio, al processo d’Appello contro gli Ufficiali dei Carabinieri Mori ed Obinu per la “mancata cattura di Provenzano” sfodera una contorta tesi per evitare “le troppe assoluzioni perché il fatto non costituisce reato”.

Bisogna “prescindere dalla finalità di certi comportamenti (asseritamente) omissivi per prendere atto del fatto dell’omissione”.
Semplice no?

Già ma, senza la finalità di “aiutareProvenzano, la novità della tesi general-procuratoria è quella di un “favoreggiamento colposo”.
Una volta ci si sarebbe scandalizzati.

Ma c’è di peggio.
E il peggio è che di quel discorso del bravo magistrato
(è davvero bravo, “brillante” e fascinoso in tutte le accezioni del termine) il vero punto centrale è proprio quel “troppe assoluzioni perché il fatto non costituisce reato.
Fastidiosa sottigliezza questa storia se costituisca o no reato.

Un fastidio che sentono tutti questi sostenitori della “giustizia di lotta”, non solo l’ottimo dott. Patronaggio.
E’ il fastidio nei confronti del vincolo, dell’”intralcio”, costituito dalla legge, dal diritto e, soprattutto, dalla pretesa che un magistrato lottatore vi debba sottostare.

Esagerato?
Non è questione di esagerazione, non c’è esagerazione.
Così ragionavano (si fa per dire) contro il Presidente Carnevale.
Peggio ancora: così sragionavano i nazisti, la cui teoria giuridica ufficiale era quella del “diritto penale libero”, contro cui Piero Calamandrei tenne la famosa e coraggiosa conferenza del 15 gennaio 1940.

Ebbene questi rigurgiti dell’oltranzismo anche teorico (si fa per dire) ritornano nei momenti di crisi.
Il mio amico e collega Andrea Granata mi ricorda acutamente quel che la storia ci insegna con il “ritorno alle origini” (ed all’estremismo) del fascismo allo sbando ed alla vigilia della resa dei conti con la Repubblica di Salò.

La storia, naturalmente, non si ripete, ma nella perenne diversità del suo divenire ci aiuta a comprendere il presente alla luce dell’esperienza del passato.

Invocare i grandi eventi della storia di fronte alle sconce miserie di questa Antimafia al tramonto è forse quasi comico.
Ma non quanto è assurdo ritenere che le cose debbano continuare così come vanno oggi.

Mauro Mellini


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