La notizia nuda e cruda è di qualche mese fa: l’omonimo dei Metallica, il cosiddetto black album, è il disco più venduto degli ultimi venticinque anni. Non in ambito metal, né sotto altre categorie ma proprio in assoluto, entra nella stessa classifica in cui da sempre troviamo cose tipo Thriller di Michael Jackson, Dark Side Of The Moon e questi titoli che di solito trovi in casa della gente che ha venti dischi in totale. Da un certo punto di vista non dovrebbe stupire, essendo l’album in questione da sempre etichettato come il disco metal commerciale per eccellenza. ‘Commerciale': termine odioso e di difficile definizione che forse in questo album trova la sua corrispondenza massima. Metallica è il disco di cui moltissimi ancora oggi amano parlare male, oggetto di lunghissimi dibattiti tra fautori e detrattori; ricordo all’epoca firme prestigiose intrecciare dispute in puro stile Spinal Tap su quale fosse il migliore album dalla copertina nera della storia. Io, come chiunque ami il genere, ho ovviamente un opinione in merito, opinione che è cambiata circa un milione di volte.
Metallica è stato in qualche maniera il disco del mio primo approccio col metallo, è uscito che avevo quattordici anni e da lì a poco avrei ricevuto il mio battesimo del fuoco. Dal punto di vista meramente cronologico è quindi l’album della mia introduzione al metal, un punto di accesso eccellente che mi vide poi volgergli le spalle molto rapidamente non appena scoperti i vecchi album, atteggiamento talebano tipico dei pischelli infoiati che non capiscono un cazzo ma sentenziano su tutto. Riascoltandolo oggi il black album è un gran disco, il confronto con i predecessori è difficilissimo ma ci sono ancora i pezzi (tanti), c’è ancora l’ispirazione e c’è ancora una heaviness molto particolare. Al netto di tutto, credo che il suo difetto principale sia lo stesso della maggior parte degli album degli anni 90: è troppo lungo. L’esplosione del formato cd, con la sua maggiore disponibilità di minutaggio, sembrava imporre circa 15/20 venti minuti extra ad ogni album. Questa scelta teoricamente ‘di popolo’ (dare più musica agli ascoltatori) è stata in realtà spesso la rovina di altri potenziali classicissimi, annacquando in una lunghezza eccessiva anche altri mega lavori dell’epoca (Superunknown, per dirne uno grosso). Se il black album avesse avuto solo 8 pezzi e una durata di circa 40 minuti, l’opinione generale su di esso sarebbe estremamente diversa. Credo se ne parlerebbe oggi come il capolavoro controverso (e, certo, commerciale) ma non come lo scandalo che a molti piace dipingere. Che il problema sia la durata mi sa poi che lo sanno anche i Metallica stessi: durante il tour celebrativo del ventennale dell’uscita l’hanno suonato per intero sì, però al contrario. La scelta non stupisce, il climax infatti sta quasi tutto nella prima parte, da un certo punto in poi ci sono troppi cali di tensione e tracce da skippare per la dimensione live. Questo per dire è un problema che con Kill’em All non si porrebbe perché lì l’ultima è Metal Militia, la penultima è Seek & Destroy, quella prima No Remorse e quella ancora prima Phantom Lord…
A prescindere dal valore intrinseco, si tratta però di un album cardine nella storia del metallo, non solo per i numeri in sé ma per l’aver reso il metal per un breve periodo un genere mainstream. In questo senso, i danni che ha fatto sono innumerevoli. Prima vittima del successo è stata la band stessa: le vendite stratosferiche, lo status di superstar raggiunto e il conseguente tour infinito hanno lasciato il gruppo svuotato da qualsiasi tipo di creatività e si può dire che da lì in avanti (20 anni e rotti) non ne abbiano poi più azzeccata una. Da entità inattaccabile (anche il look avevano perfetto) sono poi divenuti una band come tutte le altre. Il danno vero però è stato lo sdoganare il metal presso il più generico pubblico rock con la conseguente entrata di personaggi discutibili in un bacino d’utenza usualmente ristretto agli adoratori del culto. Perché noi metallari avremo i nostri difetti, però siamo gente che ci crede un botto e finire in mezzo a una moda è qualcosa che non ci piace granché.Ricordo una festa liceale in cui un tizio di nome Igino, super-pariolino, griffatissimo Ralph Lauren con dei bei boccoli biondi, per amicizzarmi cominciò a magnificare le lodi del disco nero e a raccontarmi di come lui fosse true al punto di andare a dormire scapocciando sul cuscino sulle note di Enter Sandman. Ecco, qui non ci siamo. Se ancora oggi trovo difficile sapere a cosa mi piace essere accomunato, di sicuro so a cosa NON mi piace essere associato. Non voglio essere associato a ‘sti personaggi. Non voglio essere parte del mondo dei belli, ricchi e felici. Ci sono tanti modi in cui puoi provare ad essere fico a questo mondo e quello dei finti Briatore non è proprio il mio (I know I don’t belong direbbero i Saint Vitus). Quel giorno, causa Igino, ho cominciato a osservare da un nuovo punto di vista le cose che mi appassionavano ponendo sempre maggiore attenzione al pubblico di riferimento. Ancora oggi se quest’ultimo è impresentabile io tendo a tirarmene fuori. E’ un metodo che utilizzo tuttora e si può adattare ad un sacco di cose che vanno anche ben oltre la musica, per me funziona nella scelta delle scarpe da comprare fino a decidere a chi dare il mio voto. Purtroppo una delle altre categorie che trovo insopportabili sono proprio i fan terminali dei Metallica, per molti versi l’equivalente heavy del pubblico di Vasco Rossi, gente che o ha vissuto nel frigo per gli ultimi vent’anni o il cui ardore odierno è davvero poco comprensibile. Perché i primi album sono giganteschi e non si discute ma bisogna anche saper riconoscere quando il giochino si è rotto. Insomma, viva il black album ma se non fosse mai uscito forse oggi, per noi metallari, il mondo sarebbe un posto un pochino migliore.