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Lo speaker si avvicina ad un microfono, fa i gargarismi, compie qualche vocalizzo e legge con dizione perfetta un annuncio. Successivamente deve parlare il futuro re Giorgio VI, balbuziente sin dall’infanzia, che non riesce però a spiccicare parola. Albert (B-b-b-bertie, per i famigliari, interpretato da Colin Firth) sarebbe diventato re improvvisamente, dopo l’abdicazione del fratello Edward che preferiva al trono la dissoluta vita con l’americana Wallis Simpson. L’incoronazione, che per la prima volta sarebbe stata trasmessa dalla BBC, non poteva prevedere un re balbuziente. È a questo punto che entra in scena l’australiano Lionel Logue (Geoffrey Rush), attore fallito e logopedista “improvvisato”, che aveva fatto esperienza sui reduci della Prima guerra mondiale. Logue vive con moglie e figli in un appartamentino, tratta Sua Altezza Reale come un amico e, secondo gli incompetenti dottori di corte, ha metodi poco ortodossi.
Il cinema inglese continua a indagare le figure istituzionali del recente passato, dimostrando inoltre che si possono fare ottimi film senza fare ricorso ad artifici tecnici da baracconata destinata a maxischermi e dolby surround delle moderne sale cinematografiche. E così, dopo le debolezze della regina Elisabetta (The Queen), l’umanità di Winston Churchill (Into the Storm) e i “voltafaccia” di Tony Blair (I due presidenti), ora sta a re Giorgio VI dimostrare che, in fondo, anche un regnante ha un’anima perché può trovarsi in difficoltà.
Elegante nella sua regia, Hooper esalta e ridimensiona l’handicap del protagonista. Problema accresciuto dalla vista della radio, mezzo potente e spaventoso, che cominciava a far perdere ai reali il loro alone mistico, portandoli nelle case dei loro sudditi.
Firma la riuscita sceneggiatura David Seidler, e la storia che ci sta dietro è interessante come il film. Dietro l’aplomb come stile di vita, si possono nascondere molti problemi (di cui la balbuzie è solo il più evidente). Sceneggiatura che ha anche il merito di fare capire il contesto politico, pur toccandolo superficialmente, in cui si svolge la vicenda. Seidler ha cercato il figlio di Lionel Logue (gli è bastato l’elenco telefonico per ritrovare, ormai ottantenne, il ragazzino che nel film studia per diventare medico), recuperando i taccuini scritti durante le sedute. Chiese poi il permesso alla regina madre, che gli rispose “mai, finché sono in vita”.
Colin Firth è sublime nella parte del re (molti dicono che la balbuzie è resa meglio nella versione in lingua originale, ma anche il doppiatore italiano, Luca Biagini, se l’è cavata bene). Candidato a 12 Oscar (troppi, su questo siamo tutti d’accordo), il film è misurato, elegante, irresistibile nel suo umorismo tutto britannico. Un dovizioso viaggio dentro i tabù della stagione e della cultura post-vittoriana (il difetto, all’epoca interpretato come una debolezza, serve a far venire a galla le componenti repressive dell’educazione nazionale) e un’imperdibile occasione per riconciliarsi con un ottimo cinema di parola.
Voto: 8 su 10
(Film visionato il 29 gennaio 2011)
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