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Se Ali G lo avevo detestato cordialmente, altrettanto non era successo con Borat in cui le sezioni candid camera erano strepitose e neanche con Bruno che mi aveva strappato risate in più di un'occasione.
Ho sempre avuto la sensazione che il nostro Baron Cohen volesse apparire molto più stupido di quello che è veramente, ma soprattutto che lui fosse molto più bravo di quello che sembrasse dai suoi film.
Ecco perchè fino a prima di questa sua ultima fatica mi sarebbe piaciuto vederlo all'opera in un film " serio" , con un regista "serio" non solo come caratterista ma impegnato a esplorare altre parti del suo talento.
Ecco questo succedeva prima de Il dittatore.
Perchè dopo averlo visto non so più che cosa pensare.
Dire che mi ha messo di cattivo umore è un eufemismo.
La nuova creatura del nostro è un mix di Borat e di Bruno però caricati coi pallettoni di un cattivo gusto ancora più evidente, un personaggio in cerca d'autore che affonda nel marasma della volgarità di battute pessime e di scene che non strappano alcunchè di assimilabile alla risata e per un film come questo non far ridere è peccato mortale.
Il problema naturalmente non è la volgarità che anzi qui a bottega è sempre salutata con favore quando al servizio di qualcosa di creativo, nè il politically not correct anche questo di un certo gradimento.
Il problema è che questo film non mi ha fatto ridere e mi fa riconsiderare parecchio di quello che penso sull'intelligenza di un tipo come Sacha Baron Cohen che all'interno dello show biz si è scavato una bella nicchia artistica in cui elaborare valanghe di provocazioni.
Per me qui l'intelligenza è sotto il minimo che dovrebbe essere consentito per legge.
Sarà colpa mia, sarà che sono abituato a scherzare coi fanti e a lasciar perdere i santi e che su alcune cose è meglio non fare battute, sarà anche che magari non ero predisposto a questa visione dopo una pessima giornata ma Il dittatore mi ha lasciato con un senso di disappunto duro da scrostare anche dopo la fine dei titoli di coda.
E questo con un film con Sacha Baron Cohen non mi era mai successo.
Che con questo Aladeen il nostro sia arrivato al punto di non ritorno?
E' probabile : la sua tecnica provocatoria in cui quello che conta davanti alla cinepresa è soprattutto la reazione di vittime inconsapevoli ora ha lasciato il posto a qualcosa di più "scritto" e "recitato", lasciando in questo modo nelle retrovie quella che ritenevo la cosa migliore nei suoi film: catturare le reazioni della gente comune , il più delle volte ridicolizzandola, toccando nervi scoperti, infrangendo tabù uno dietro l'altro..
In questo film invece il suo Aladeen è un personaggio senza respiro al centro di un one man show in cui anche uno come Ben Kingsley (sic! ), probabilmente presente per esigenze di pagnotta, si trova inopinatamente messo da parte dalle scenette comiche o presunte tali del nostro antieroe misogino e antidemocratico che si trova negli USA, nazione autoproclamatasi la più democratica del mondo.
Talmente democratica che ha la pretesa di esportarla la democrazia, magari più nel passato che nel presente.
Nulla di male nel satireggiare sugli usi e costumi di una nazione "ultrademocratica" come gli USA.
Però la satira dovrebbe far ridere e far riflettere.
E qui mi sembra che non succeda alcuna delle due cose nominate prima.
Probabilmente stavolta Cohen è stato molto più attento al marketing legato ad apparizioni straordinarie di questa sua nuova creatura che al film vero e proprio.
Inoltre il suo compare di lungo corso Larry Charles stavolta non è riuscito a dare forma cinematografica compiuta al potenziale racchiuso nel personaggio.
E può darsi anche che le migliori battute le ha rilasciate in questi happenings casualmente sempre a favore di camera.
(VOTO : 3,5 / 10 )
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