Parigi ha la Tour Eiffel, Londra quella dell’orologio, Pisa quella che pende. Mauritius ha il Dodo, che non è il nome di una torre esotica, ma di una pacifica bestiola la cui specie si è estinta da circa tre secoli. E’ il simbolo di Mauritius ed ha la forma di un robusto tacchino. Ma, se la sua esistenza è solo un ricordo, la sua immagine è sempre molto viva nel tempo, al punto che oggi, dopo il turismo e la canna da zucchero, il dodo rappresenta una voce molto importante nell’economia mauriziana.
Il dodo, oltre ad essere raffigurato nella filigrana di tutte le banconote della Rupia, la valuta di Mauritius, è riprodotto su francobolli, cartoline, libri, scatole di fiammiferi, magliette e cappellini e tutto il tessile ha almeno una “linea dodo”. Ma ce ne sono in vetro, in legno, cristallo, ottone argento e… oro! Di fatto è un simbolo che viene appiccicato su qualsiasi oggetto d’artigianato locale, proprio come un marchio garanzia di “made in Mauritius”.
Ma chi era il dodo? Se oggi un Mauriziano vi da’ del “dodo”, sappiate che ha lo stesso significato di quello attribuito a Roma al termine “allocco”, quindi stupido. E c’è un’espressione che è molto usata al posto del nostro “morto di sonno”: a Mauritius dicono a chi sbadiglia frequentemente: “dead as a dodo”, quindi morto come un dodo. Questa espressione è comune in tutto l’arcipelago delle Mascarene che comprende, oltre a Mauritius, anche Rodrigues e La Réunion.
Esisteva anche un altro “pezofaba” (letteralmente -che va a piedi-) si chiamava “il solitario” ed era presente tanto a La Réunion quanto a Rodrigues. Il peccato originale dei due “rafidi” (nome della specie raphus cucullatus) li ha condannati a non volare, pur appartenendo alla classe degli uccelli. Questo “difetto di fabbrica” è costato ad ambedue i tacchinoidi, il massimo della pena: l’estinzione! Non sappiamo in quale epoca il dodo sia approdato a Mauritius… sappiamo che c’era per tutto il periodo in cui l’Isola è stata colonia portoghese, quindi fino al 1640. In quell’epoca i Lusitani dettero il nome di “Cirne” a questa colonia, in onore del cigno, in parte molto simile al dodo, quindi già un omaggio indiretto al rafide.
Successivamente arrivarono gli Olandesi e le cose cambiarono… completamente, perché quando i “Dutche”, nel 1710, lasciarono l’isola, il bilancio dell’ex Cirne era questo: il nome era stato cambiato in Mauritius, in omaggio a Maurizio d’Orange, il principe dell’indipendenza dei Paesi Bassi; la flora era stata totalmente stravolta, con l’introduzione della canna da zucchero, che venne piantata sopprimendo gran parte della vegetazione preesistente; la fauna si trovò anch’essa mutata in molte forme. Venne introdotto il cervo, facilmente, ambientato nelle numerose fresche alture dell’isola e tuttora presente. Arrivarono anche cani, gatti e maiali, sempre importati dai coloni olandesi. Come i loro trasportatori, anche questi animali impararono molto presto ad apprezzare non solo la carne del dodo, ma anche il suo uovo. Sulle navi olandesi, c’erano anche topi e scimmie.
I seguaci di Maurizio d’Orange pensarono di portare sull’isola tutto quello che avevano a bordo e si devono essere molto divertiti nel vedere come ai topi piacesse ingaggiare degli improponibili inseguimenti mortali con i piccoli dodi.
La natura non ha contribuito alla facile riproduzione perché la “doda”, accoppiandosi con il dodo, produceva un solo uovo ogni…dodata. La cova veniva fatta, in alternanza, da ambedue i genitori del futuro “dodino”.
Olandesi dodofagi, topi e scimmie dodofile importunavano i piccoli fino a farli morire di paura. Il destino era segnato ed è facile comprendere che presto sarebbe arrivata la situazione che ha un solo nome, irreversibile: estinzione.
Una considerazione viene spontanea. Se è comprensibile che le scimmie, facendo crepare di paura l’ultimo dodo, non abbiano detto ai coloni: “Guardate che questo è l’ultimo!” è già meno plausibile che il colono, importatore di canne da zucchero e bestiame vario, una volta divorato l’ultimo tacchinoide, non si sia accorto che quello era veramente l’ultimo “allocco”. Non rimaneva nemmeno più un uovo da covare e anche se ci fosse stato, chi l’avrebbe potuto fare? Quindi, su un punto sembra proprio che non ci siano dubbi: gli Olandesi sono accusati di dodicidio estinguente la specie.
Tuttavia, nella biblioteca del Mauritius College Boys di Curepipe (seconda città di Mauritius), consultando la “World Book Enciclopedia” stampata in Inghilterra, alla voce dodo si legge: “ …Sterminato dai coloni portoghesi”. Ma poi si confondono clamorosamente le date dell’arrivo di tutti i successivi “visitatori”.
L’altro esemplare di rafide il “solitario” ha fatto la stessa fine. Ma a Rodrigues e a La Réunion gli Olandesi non ci sono arrivati, quindi, la storia è proprio tutta diversa. Sembra, infatti, che questo volatile terra-terra, non amasse molto la compagnia della “solitaria” che, ben presto e giustamente, decise di frequentare altri uccelli… ma che volavano davvero. Quindi il solitario ha, di fatto, dato una spiegazione al suo nome ed ha finito per estinguersi. Le solitarie, consolate da uccellacci rapaci, si sono evolute alla maniera delle teorie darwiniane e sono passate alla genetica superiore: quella dei volatili che volano sul serio.
L’ultimo esemplare di dodo è stato esposto a Londra (imbalsamato) alla fine del 1700. Oggi un dodo perfettamente imbalsamato è esposto anche in una grossa vetrina del Museo di Scienze Naturali a Port Louis (la capitale di Mauritius).
In tempi recenti, l’alta crescita demografica dei Mauriziani (questo Stato è al terzo posto nel mondo come rapporto superficie-densità della popolazione, preceduta da Hong Kong e Bangladesh), ha fatto sì che si costruissero sempre più case, con continui scavi in tutto il territorio dell’isola maggiore. Di frequente vengono rinvenute delle ossa rotonde di un “tacchinoide” che conferma quanto il dodo fosse diffuso in quest’isola almeno fino all’arrivo dei “Dutche”.
Evidentemente non esistono fotografie della sfortunata creatura, ma solo una miriade di disegni che riproducono l’animale in modo sostanzialmente, sempre simile, ma anche con alcune difformità. Una descrizione la si può fare basandoci sull’esemplare esposto a Port Louis. Immaginate veramente un grosso tacchino tozzo e rotondo. La testa, insaccata nel collo, è dominata da un becco enorme, scuro ed uncinato. Le gambe sono robuste ma corte, con due zampe a quattro dita, uncinate e ricurve. Le ali, ai lati, sono grosse ma cortissime. La sua immagine è la sintesi tra un gallinaccio obeso ed un cigno (cirne) nato male… e cresciuto peggio, quindi impacciato e lento. La coda è sicuramente la parte riuscita meglio. Si compone di un ciuffetto di piume ricurve, soffici e colorate. Pare che ogni piuma indicasse un anno d’età del dodo. Mi sono fermato a lungo ad osservare bene questo rafide-pezofaba e, tutto sommato, non mi sento di dare grandi colpe né ai dodofagi ne ai dodofili, perché l’unico messaggio immediato che lancia l’imbalsamato è proprio quello del … se t’acchiappo, ti mangio!
Il dodo si faceva catturare facilmente e…si sa come accadono queste cose… un dodo tira l’altro e si finisce per estinguerli. C’è una morale curiosa. Dodo in portoghese significa “stupido” ed anche a Mauritius oggi non danno interpretazione diversa. In Francia per mandare i bambini a dormire si dice “allez faire dodo!”
L’isola ha il nome di Maurizio, in omaggio al principe olandese. Insomma è la solita storia, chi disprezza compra e chi non compra non disprezza di mangiare. Comunque, pur nella sua estinzione materiale e linciaggio morale, il dodo rimane immortale come simbolo del business. In tempi recenti è diventato persino una linea di design d’un “ciondoliere” italiano.
Ciao Mauritius, la tua immagine è bella e splendente, non è…stinta come quella dell’Europa!
Alberto Nacci
Illustrazione tratta da Google immagini